Dal 1° al 29 ottobre 2024, il Teatro Regio di Torino presenta “Manon Manon Manon“: un progetto interamente dedicato a Manon Lescaut. Tre opere autonome ma complementari, tre direttori d’orchestra, tre interpreti per una protagonista unica, tre diversi cast per un inedito “trittico”, prodotta dal Regio, firmata dal regista Arnaud Bernard. Ce ne parla il Sovrintendente Mathieu Jouvin.
Com’è nato il progetto Manon Manon Manon?
Avevamo già in programma di inserire la Manon Lescaut di Puccini in cartellone per il centenario della morte del compositore. L’opera fu il primo grande successo della carriera di Puccini e venne eseguita per la prima volta qui al Regio nel 1893. Da qui è nata l’idea di accostare il titolo ad altre due opere, di due compositori diversi. In Francia la Manon di Jules Massenet è molto apprezzata ed è eseguita spesso. Al contrario quella di Daniel Auber è poco conosciuta.
Una stessa storia raccontata in tre opere diverse. È stato facile unirle insieme?
Confrontandomi con il direttore artistico, Cristiano Sandri, ci siamo detti che fosse molto interessante avere in 40 anni uno spaccato di tre secoli di musica e tre letture così diverse dello stesso personaggio. Nella Manon di Auber ci sono ancora delle tracce del Settecento musicale, mentre quella di Massenet è in pieno Ottocento. Puccini invece stava già guardando al futuro e nella sua Manon ci sono già degli elementi del Novecento.
Quale Manon restituiscono questi tre diversi compositori?
Tutto è nato da un romanzo, scritto nel Settecento, dall’abate Antoine François Prévost: “Storia del cavaliere Des Grieux e di Manon Lescaut”. Un testo che all’epoca fu considerato scandaloso. Auber rappresenta Manon non come una peccatrice ma come una ragazza ingenua, che senza volerlo causa tutta una serie di problemi. Massenet approfondisce la profondità di Manon, peccatrice ma capace anche di ammettere la sua colpevolezza e crudeltà, con la morale che alla fine l’amore è più importante di qualsiasi altra cosa. Puccini invece ne restituisce una visione più passionale, con una drammaturgia molto forte, che volle in contrapposizione con quella di Massenet.
Come avete immaginato la regia di queste opere?
Il fil rouge dello spettacolo è il cinema. Arnaud Bernard, il regista, ha scelto tre momenti diversi del cinema francese del Novecento per esprimere i tre volti di Manon.
Per l’opera di Auber si rifà al cinema muto della fine degli anni Venti. Un cinema molto espressivo, che ha ancora quella sfumatura sul passato. Per Puccini l’ispirazione è l’eroina appassionata di Michèle Morgan in Le Quai des brumes: un film della fine degli anni Trenta, che si sposa sia con l’idea di forza del personaggio di Manon e della figura della donna sia con la drammaturgia cinematografica di quegli anni. Per Massenet ha scelto il film La Vérité di Henri-Georges Clouzot. La storia di questa ragazza interpretata da Brigitte Bardot, in contrasto con tutta una serie di codici della società borghese che le vanno stretti, ci è sembrata molto vicina all’opera del compositore.
Come avete lavorato insieme al regista e al resto del cast?
L’idea di base del regista, condivisa con lo scenografo Alessandro Camera e con la costumista Carla Ricotti, era quella di avere una proposta artistica di base forte, con tre messe in scena diverse ma complementari. Volevamo un solo regista a capo di questo progetto perché sentivamo la necessità di avere non tre occhi diversi sulla regia, ma di avere uno stesso sguardo su tre opere diverse. Al contrario per la parte musicale abbiamo tre cast diversi, con tre direttori d’orchestra diversi (Renato Palumbo per Puccini, Evelino Pidò per Massenet e Guillaume Tourniaire per Auber), proprio perché ogni opera ha una sua tessitura musicale ed era necessario avere uno specialista per ogni repertorio.
Il progetto rientra nell’ambito delle celebrazioni di Puccini, ma coincide anche con la Giornata Mondiale dell’Opera.
Proprio per quest’occasione ospiteremo a Torino il convegno annuale di Opera Europa. Commemorare la Giornata Mondiale dell’Opera (il prossimo 25 ottobre, ndr), accogliendo i sovrintendenti e i direttori artistici dai diversi Paesi in un anno così importante, che si è con la nomina del canto lirico italiano patrimonio dell’umanità, ci sembra un bel segnale per l’Italia e per Torino in particolare.