Ma Glenn Gould, annoverato tra i più grandi pianisti mai vissuti, dopo una carriera costellata di successi e all’apice della fama mondiale, decide, a soli trentadue anni, di non esibirsi più in pubblico, isolandosi completamente. E’ il 1964. Da allora, oltre ad attenersi sino alla morte al proposito di non sottostare mai più alla “tirannia feroce e idiota del concerto pubblico”, intratterrà con il mondo musicale a lui contemporaneo rapporti rigorosamente filtrati dalla tecnologia. Perché questa scelta radicale? Come si può continuare a vivere d’arte senza soccombere alle logiche del mercato dello spettacolo?
Nel monologo, scritto da Andrea Cosentino, si alternano diversi personaggi ironici e marginali che hanno avuto modo di incontrare Glenn Gould poco prima della sua leggendaria rinuncia alle scene: l’addetta alle pulizie del teatro di Los Angeles, il musicologo istrionico che si perde elencando i diciotto figli di Bach, il tecnico del suono hippie che consiglia a Gould una sala di registrazione nel profondo nord del Canada. Tutti questi personaggi, a cui si aggiunge la figura di Glenn Gould e dell’attore chiamato ad interpretarlo, coesistono e vengono rappresentati in quanto protagonisti di una fuga.
Una fuga dal pubblico, dalle logiche di mercato dello spettacolo ma, soprattutto, una fuga per una ricerca approfondita della propria arte e del proprio lavoro attraverso se stessi. Lo spettacolo, della durata di un’ora, gioca teatralmente in dialogo con il pubblico in modo ironico, leggero e divertente. Cifra che ben contraddistingue lo stile di Andrea Cosentino e dall’attore Marco Brinzi qui diretto da Caterina Simonelli.