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DIALOGO CON CYRO ROSSI, AUTORE DEL CORTO “SONO IO”

Tempo di lettura: 4 minuti

Miglior corto sperimentale all’International Short Film Festival, “Sono io” è scritto e diretto dal regista e attore fiorentino Cyro Rossi
“Sono io” affronta senza alcuna retorica il tema del Covid-19. Il virus che ha sconvolto le nostre vite assume ora sembianze umane, addita responsabili, calca la mano su omologhi parimenti letali. Nessuno è immune. L’individuo è a nudo, fragile, impotente. 

Quando e come è nata l’idea di scrivere un cortometraggio sul Covid-19?
L’idea è nata a fine marzo. Sono uno sportivo, mi alleno con regolarità e anche durante il lockdown, da insegnante di bioenergetica, non trascuravo il lavoro sul corpo e sulla respirazione. Correvo attorno al palazzo quando è nata l’idea. Ho scritto di getto, appena rientrato. Dapprima ho pensato a un monologo, poi ho reputato opportuno coinvolgere più attori: mi premeva il taglio internazionale per una pandemia che è di fatto mondiale. Il virus è democratico, investe tutti; da qui la scelta di artisti di diverse nazionalità, cultura, lingua.

Equilibri fasulli e abitudini mediocri sembrano essere le principali cause di questa rivalsa della natura sull’uomo…
Sembrerebbe una visione cinica delle cose, ma il mio è un approccio romantico. Vedo il disegno più grande di un mondo senza santi al quale qualcosa deve essere sfuggita di mano. Credo fosse già tutto previsto e a noi non rimane che stare a guardare.
Attorno, oggi, tanta depressione e altrettanta megalomania. Il virus ha messo a nudo ogni cosa: coppie fasulle, attività mediocri, lavoratori improvvisati. Sta via via saltando tutto il prima. E il prima era la qualità persa dagli anni Ottanta a oggi. Siamo stati messi in contatto con le nostre fragilità, con le nostre mancanze. Al momento di ricontattarsi con noi stessi verrà senz’altro fuori qualcosa di buono. 
La natura, intanto, guadagna molto. Alcuni individui, del resto, è meglio tenerli chiusi: prima si mescolavano nel caos; adesso, tra la calma piatta e l’aria limpida, vengono fuori. Fanno danno, guardano con miopia alla realtà. In tempo di pandemia calcolano esclusivamente le morti di Covid. E quelle di cancro? E la fame? E gli incidenti stradali?

La scelta del bianco e nero ha spiegazioni di natura puramente stilistica o mira a una circoscrizione più definita dell’individuo?
Il bianco e nero è più intenso. I colori potevano distrarre e a me importava dare profondità, creare un’atmosfera intima per quegli occhi fissi sull’obiettivo. 

Gli interventi perentori dei bambini palesano una lucidità inversamente proporzionale all’età?
In “Sono io” parlano i carnefici, parla il virus. I bambini rappresentano la parte più innocente, incontaminata. Ciononostante, i bambini sembrano i meno confusi, i meno sbalorditi. Penelope Flamma è fantastica. L’avevo conosciuta sul set del film di Giacomo Cimini “Il talento del calabrone” e l’ho voluta per il mio corto. Tommaso Rossi è mio nipote e anche lui si è prestato molto volentieri a questo lavoro. 

Quando l’uomo tace, avanzano i suoni della natura. Una maniera di ribaltare la presunta scala gerarchica?
Parto da una scritta, letta tempo fa in via di Monte Verde, a Roma: “la natura non sa neanche che esisti, quindi rilassati”. Questo per dire che l’uomo è minuscolo, è niente. L’uomo è ospite della natura e su questa Terra sta facendo un gran danno. 
Con i suoni della natura ho inteso chiudere il cerchio, lasciando il respiro della riflessione dopo le parole e dopo la musica straordinaria di Alessandro Calò. 

Dal primo lavoro, “Buscije”, sul maltrattamento fisico e psicologico delle donne, passando per “Binario 4” (vincitore al Chelsea Film Festival di New York) sul dramma dei bambini rapiti e dispersi, fino a “Sono io” è manifesta l’urgenza di soffermarsi sulla cruda realtà. Il cinema e l’arte come imprescindibili strumenti di riflessione?
Il cinema è un servizio, al pari della sanità. È un servizio essenziale di cultura che va erogato senza indirizzare secondo logiche puramente economiche chi lo fruisce. Chi se ne frega degli incassi? Diamo piuttosto cultura, anche se ci vogliono ignoranti, se da ignoranti ci manipolano meglio.  Io mi esprimo con l’arte e la mia sensibilità mi indirizza verso certi temi che trovo di fondamentale importanza. 

I cinema sono ancora chiusi. Sarà tutto come prima al momento della riapertura?
Premetto che i cinema, considerate le misure prese e il numero di posti vuoti nelle sale, non andavano chiusi. Lo spettatore ci tornerà non appena riapriranno perché è un bisogno essenziale conoscere, lo è poggiare lo sguardo sulla realtà attraverso il cinema. Del resto, peggiorare in tal senso è difficile e, superate le difficoltà, le ripartenze hanno un sapore particolarissimo.
Dell’Italia ho sempre apprezzato il gusto e la classe che impreziosiscono l’atto creativo. V’è tanta qualità nei piccoli e nei grandi set. Vi sono grandi direttori della fotografia, costumisti, scenografi. È un mondo che ha il gusto di fare le cose ed è abitato da grandissimi artisti. 

Come vive un artista questo tempo sospeso?
Di recente ho voluto rivedere “Balla coi lupi”, girato grazie alla caparbietà di Kevin Costner. Grande potenza espressiva nel raccontare la comunità dei nativi.  Guardo film, qualche serie, leggo molto. Mi affascinano molto le storie ambientate nei Paesi dell’Est. Ordino idee e due, in particolare, spero diventino dei veri e propri progetti.  Ho ricevuto la sceneggiatura di un thriller psicologico al quale lavorerei volentieri. Inoltre, ho in mente un lungometraggio. Non mi fermo, insomma. E in questo tempo sospeso le idee creative di certo non mancano.   

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