Un esperimento realizzato quasi per gioco, un ensemble di cento violoncelli nato dall’idea di Giovanni Sollima e di Enrico Melozzi durante l’occupazione del Teatro Valle di Roma nel 2012. È il progetto 100 Cellos, che anche quest’anno torna a MiTo Festival, con appuntamento domenica 8 settembre in Piazza San Carlo, a Torino, ore 21.
Sollima, è pronto per questa nuova edizione del MiTo?
Sono arrivato ormai alla mia quarta partecipazione al MiTo, da quel che riesco a ricordare. La terza con il progetto 100 Cellos, dopo le due esperienze prima e durante la pandemia.
Com’è nato il progetto dei 100 Cellos?
Come tutti i migliori progetti, è nato per caso. 100 Cellos nacque all’epoca del Teatro Valle occupato a Roma. Una realtà bellissima con una storia importante, che purtroppo oggi è tornata ad essere chiusa. Il teatro era pieno di artisti, registi, danzatori, musicisti. Ci raggiunsero anche Stefano Bollani a Gianni Morandi. Un giorno Enrico Melozzi mi chiamò e mi propose di suonare insieme. Da lì è nata l’idea di coinvolgere musicisti di varie formazioni e di tutte le età. Alla fine siamo arrivati a cento persone.
Come vi siete organizzati?
Le prime due edizioni di 100 Cellos si sono tenute al Teatro Valle. Si dormiva in teatro, non avevamo né gli spartiti né la stampante. Abbiamo arrangiato le partiture su dei fogli di carta riciclata che ci regalarono sul momento.
Qual è il motore che vi ha portato avanti?
Con Melox diciamo sempre che il progetto di 100 Cellos si fonda sul concetto di irrealizzabilità. Anche se in realtà non è così, visto che ormai lo stiamo realizzando da 12 anni.
In ogni edizione di Centocellos c’è sempre un tema, un racconto che funziona da filo conduttore. Per ogni nuovo appuntamento c’è un brano inedito che scrivo appositamente per quell’edizione. Anche i musicisti dell’organico cambiano spesso, anche in base alla geografia dei nostri eventi. Abbiamo richieste che arrivano da tutto il mondo e di tutte le età.
E poi c’è tutto quello che si crea spontaneamente e collateralmente al concerto, dai flash mob ai concerti improvvisati, aperti anche al pubblico.
Un progetto che quindi vuole abbattere diverse barriere, dal pubblico alla musica.
Assolutamente sì. Bisogna uscire dalla dimensione del rigido concetto di musica classica. Nelle scorse edizioni abbiamo avuto ospiti come Sara Jane Morris e la PFM. Anche le prove sono a porte aperte, anzi, a cuore aperto. Il pubblico deve poter assistere alle diverse fasi di preparazione, se vuole. Questo favorisce un rapporto molto forte con chi ti sta davanti e ti ascolta.