Questa settimana ricade un anniversario importante per il cinema. Il 21 novembre del 1931 uscì negli Stati Uniti un’opera che ha dato vita sul grande schermo a uno dei più famosi e importanti protagonisti del cinema horror. Una pellicola che ha indubbiamente cambiato il cinema e l’immaginario collettivo: Frankenstein di James Whale.
Frankenstein è un film del 1931 diretto da James Whale. Capolavoro del genere horror, fa parte del celeberrimo ciclo dei Mostri della Universal, una serie di pellicole prodotte dalla Universal Pictures dagli anni Venti che hanno portato sul grande schermo i primi mostri della storia del cinema americano. Liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Mary Shelley, Frankenstein rappresenta uno dei punti di partenza per il cinema horror moderno, creando lo stereotipo dello scienziato pazzo, dell’assistente gobbo e l’iconica maschera della Creatura. Girato in chiave fortemente espressionista, il film consacra la figura di Boris Karloff come uno dei più grandi interpreti dell’orrore su grande schermo.
«GUARDATE, È VIVO!… È VIVO! È VIVO! È VIVO!»
Il dottor Henry Frankenstein (Colin Clive), isolato in un vecchio mulino adibito a laboratorio, inizia a recuperare pezzi di cadaveri da cimiteri e forche per cimentarsi nell’ambizioso e folle progetto di creare la vita in una creatura artificiale.
La cieca ambizione di Frankenstein non viene fermata neanche dai tentativi di farlo ragionare della sua fidanzata Elizabeth (Mae Clarke), del suo migliore amico Victor (John Boles) e del suo ex professore Waldeman (Edward Van Sloan). Con l’aiuto del suo assistente gobbo Fritz (Dwight Frye), il folle dottor Frankenstein riesce grazie all’elettricità dei fulmini di una tempesta a infondere la vita al suo creatura.
Rilassato dal successo dell’esperimento, lo scienziato apprende dal dottor Waldeman che il cervello trafugato dal suo laboratorio per essere donato al mostro, era appartenuto a un criminale. Nei giorni successivi la creatura nel laboratorio del suo creatore inizia a scoprire il mondo, affascinato dalla luce del sole e terrorizzato dal fuoco col quale viene tormentato da Fritz. In uno scatto d’ira, stanco dei continui tormenti, il mostro uccide il gobbo, e Frankenstein e Waldeman decidono, dopo averlo sedato, di sopprimerlo. Su consiglio del suo insegnante, Henry torna a casa per sposare Elizabeth, ma a sua insaputa la creatura riesce a ribellarsi e strangolare Waldeman per poi fuggire dal laboratorio del suo creatore.
Nel suo vagare la creatura incontra una bambina che lo invita a giocare con lei, non curandosi del suo aspetto mostruoso, ma per errore la uccide gettandola in un lago. Compresa la gravità del suo gesto, in un impeto di rabbia e tristezza per la sua condizione, la creatura decide di vendicarsi su suo “padre”, interrompendo il suo matrimonio e aggredendo Elizabeth fino a provocarle uno shock. Frankenstein, deciso a porre fine alla faccenda, aizza il resto del villaggio per dare la caccia al mostro e ucciderlo definitivamente. Sulla cima di un vecchio mulino, il mostro e il creatore si scontrano, finché lo scienziato non viene scagliato di sotto dalla furia omicida del suo prodotto. Sopravvissuto ma ferito, il barone e la folla danno fuoco al mulino, e la creatura viene inghiottito dalle fiamme.
«NEL NOME DI DIO! ADESSO SO COME CI SI SENTE A ESSERE DIO!»
Testa quadrata e con pochi capelli, arcata sopraccigliare prorompente, sguardo cadaverico e spento, cicatrici su tutto il corpo, elettrodi sul collo, guance scavate, pesanti occhiaie: l’iconografia più riconosciuta del mostro di Frankenstein nasce in questo film. La maschera della creatura fu realizzata dal celebre truccatore Jack Pierce – artefice delle maschere di molti altri Mostri della Universal, come Dracula, la Mummia Imhotep, l’Uomo Invisibile e il Lupo Mannaro – aiutato dal regista James Whale e dalla completa collaborazione di Boris Karloff, che arrivò a farsi togliere un ponte dentale per scavare le guance. Karloff si sottopose a quattro ore di trucco quotidianamente, rischiando la cecità per colpa del mastice sulle palpebre e dell’esposizione al collodio. Il costume del mostro era un pesante completo nero: le maniche della giacca erano state accorciate per far sembrare le braccia della creatura molto più lunghe del normale; gli stivali con zeppe vennero realizzati in modo da protendere il busto di Karloff in avanti, così la postura sembrava sbilanciata e scomposta. L’interpretazione di Boris Karloff, fatta unicamente di mimica facciale, goffi movimenti del corpo e truci lamenti, risulta estremamente convincente e tragica, in grado di far empatizzare gli spettatori con la sua situazione. Un essere innocente, la cui unica colpa è di non essere compreso; la vera mostruosità del film è l’uomo che si scaglia con violenza contro il diverso (il regista James Whale era dichiaratamente omosessuale, e ha inserito questo aspetto come forte critica alla società). La scena, censurata all’epoca, dell’annegamento della bambina è emblematica della ingenua condizione in cui vive lo sfortunato prodotto di un crudele esperimento, e Karloff riesce a esprimerla drammaticamente senza bisogno di proferire parola. Un’interpretazione che rimarrà per sempre nella storia del cinema.
Boris Karloff grazie a questo film viene consacrato come uno dei più grandi attori del cinema horror del ventesimo secolo, il successo della sua creatura è tale che lo porterà a interpretare un altro dei mostri Universal (la Mummia nella omonima pellicola di Karl Freund del 1932), e a lavorare con registi del calibro di Howard Hawks, Robert Wise e Roger Corman.
La messa in scena del film è innovativa per l’epoca. La regia di James Whale è ricca di piani sequenza e movimenti di macchina molto arditi eppure fluidi, intesi soprattutto a valorizzare le stupende scenografie di Charles Hall – molte di ispirazione gotica, come il cimitero col quale si apre il film – e i comportamenti e gli sguardi dei protagonisti, questi ultimi spesso con dei primi piani, molto rari nei primissimi anni Trenta. La fotografia, ovviamente in bianco e nero, risente ancora fortemente dell’influenza dell’Espressionismo Tedesco degli anni Venti, con tagli di luce meravigliosi. La sintesi di queste componenti ha come risultato delle ambientazioni e atmosfere suggestive e delle interpretazioni (specialmente nella prima parte) molto inquietanti, in grado di terrorizzare un’intera generazione.
Frankenstein fu un successo enorme al botteghino, guadagnando un milione e mezzo di dollari nel solo 1931, che diventarono quasi 13 milioni con le riedizioni successive. Il successo economico e di critica portò la Universal Pictures a produrre un sequel del film: La moglie di Frankenstein, diretto nuovamente da James Whale nel 1935. Un capolavoro al pari – se non di più – dell’originale Frankenstein del 1931.
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