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SALÒ O LE 120 GIORNATE DI SODOMA di PIER PAOLO PASOLINI

Tempo di lettura: 6 minuti

Il 10 gennaio del 1976 uscì nei cinema italiani una pellicola da molti additata come maledetta. Considerato il testamento del suo regista, che venne assassinato prima di poterlo vedere distribuito il 2 novembre 1975, è un film tanto scandaloso quanto importante, che ha segnato una tappa fondamentale della storia del cinema: Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini.

Salò o le 120 giornate di Sodoma è un film del 1976 scritto e diretto da Pier Paolo Pasolini. Ispirato al romanzo incompiuto del Marchese de Sade Le 120 giornate di Sodoma e all’Inferno di Dante, Salò è l’ultimo film del grande poeta bolognese, morto due mesi prima dell’uscita nella sale. Salò doveva essere il primo capitolo della Trilogia della Morte, un ciclo incompleto di film con toni, tematiche e filosofie in diretta contrapposizione alla fiabesca esaltazione della vita mostrata nelle tre pellicole della Trilogia della Vita (Il Decameron, I racconti di Canterbury e Il fiore delle mille e una notte).

Suddiviso in gironi su modello dell’Inferno dantesco, Salò è uno dei film più importanti della cinematografia mondiale per il suo elevatissimo tasso di violenza (tanto fisica quanto psicologica), perversione e nudità, e soprattutto per il suo significato: una raccapricciante visione dell’anarchia del potere.

«DEBOLI CREATURE INCATENATE, DESTINATE AL NOSTRO PIACERE, SPERO NON VI SIATE ILLUSE DI TROVARE QUI LA RIDICOLA LIBERTÀ CONCESSA DAL MONDO ESTERNO. SIETE FUORI DAI CONFINI DI OGNI LEGALITÀ. NESSUNO SULLA TERRA SA CHE VOI SIETE QUI. PER TUTTO QUANTO RIGUARDA IL MONDO, VOI SIETE GIÀ MORTI»

ANTINFERNO

Salò, 1944. Quattro Signori libertini, il Duca (Paolo Bonacelli), il Monsignore (Giorgio Cataldi), il Presidente (Aldo Valletti) e l’Eccellenza (Umberto Paolo Quintavalle), sottoscrivono un ferreo regolamento e sposano vicendevolmente le rispettive figlie, suggellando un patto di sangue e tramando un crudele piano. Un manipolo di repubblichini e di SS viene incaricato dai libertini di adescare ragazzi di età compresa tra i 15 e i 20 anni, le Vittime delle trame dei quattro. Dei numerosi giovani catturati, dopo un’accurata selezione da parte dei Signori, volta a scartare chiunque presenti il minimo difetto fisico, vengono scelti nove uomini e nove donne.

Caricati i ragazzi su dei camion militari, i Signori e le Vittime giungono in una villa in campagna di proprietà del Duca, luogo scelto per il soggiorno. Durante il tragitto uno dei nove uomini tenta di fuggire, venendo però crivellato dalle SS di guardia al camion: il Presidente viene ispirato dalla scena per raccontare una barzelletta. Arrivati alla villa, i Signori vengono accolti dalle Narratrici, quattro ex meretrici, e il piano ha inizio.

Viene letto il regolamento: alle ore sei tutti dovranno ritrovarsi nella Sala delle Orge, dove le Narratrici, a turno, avranno il compito di raccontare le proprie perversioni sessuali con lo scopo di eccitare i Signori ed educare le Vittime alla soddisfazione dei loro appetiti sessuali. La sera avranno luogo le orge, ossia la messa in pratica di quanto ascoltato durante la giornata. Chiunque venisse colto in flagrante ad amoreggiare verrà punito con la perdita di un arto, ogni atto religioso verrà punito con la morte. Infrangere le regole dei Signori comporta l’essere segnati sul Libro delle Punizioni, per essere puniti in un secondo momento.

GIRONE DELLE MANIE

La signora Vaccari (Hélène Surgère), la prima delle Narratrici, racconta le perversioni degli uomini ai quali si è concessa, concentrandosi in particolar modo sugli avvenimenti della sua infanzia. I Signori, eccitati dai racconti, con l’aiuto dei repubblichini, iniziano a seviziare e abusare i giovani, obbligandone alcuni a masturbarli e inserendone i nomi nel Libro delle Punizioni qualora le loro abilità siano ritenute insufficienti. I supplizi delle Vittime sono condivisi anche dalle figlie-mogli dei libertini, perennemente nude, che vengono trattate come delle schiave, costantemente violentate e picchiate. I Signori trascorrono il resto delle giornate a bere e filosofeggiare, discutendo in modo erudito del significato del libertinaggio e dell’anarchia che il potere concede. I racconti della signora Vaccari hanno il loro culmine una sera in cui le Vittime, nude e a quattro zampe, tenute al guinzaglio, vengono obbligate come fossero cani a mangiare cibo gettato a terra o messo in delle ciotole: uno dei bocconi viene inoltre riempito di chiodi.

GIRONE DELLA MERDA
Il secondo girone è dedicato alle feci e alle pratiche anali. La Narratrice è la signora Maggi (Elsa de Giorgi), il cui compito è quello di insegnare alle Vittime ad apprezzare la coprofagia. I Signori, nella loro crudele anarchia, obbligano dapprima alcuni giovani a ingerire escrementi appena defecati, fino ad allestire un banchetto nuziale la cui unica portata sono le feci.

GIRONE DEL SANGUE
L’ultima notte di permanenza nella villa il Monsignore compie un giro d’ispezione nelle camere delle Vittime, scoprendo a poco a poco tutte le violazioni al regolamento da parte dei giovani, che iniziano ad accusarsi a vicenda in una mutua delazione. Il mattino seguente il Duca annuncia che le Vittime annotate sul Libro delle Punizioni e le quattro figlie-mogli dovranno essere cinte da un nastro celeste, simbolo del loro prossimo castigo. I giovani rimasti, avendo rispettato le regole, diventano collaboratori dei Signori.

La terza e ultima Narratrice, la signora Castelli (Caterina Boratto), racconta delle tremende torture che un crudele libertino era solito infliggere a delle fanciulle da lui selezionate. I Signori, stimolati dai crudi racconti della Narratrice, ripropongono i supplizi sulle Vittime. Osservando a turno con un binocolo, i libertini assistono compiaciuti alle sodomie, ustioni, amputazioni, scalpi e impiccagioni a cui sono sottoposti i giovani. Mentre avviene la strage, due repubblichini annoiati improvvisano un valzer.

«NOI FASCISTI SIAMO I SOLI VERI ANARCHICI, NATURALMENTE UNA VOLTA CHE CI SIAMO IMPADRONITI DELLO STATO. INFATTI LA SOLA VERA ANARCHIA È QUELLA DEL POTERE»

Salò rappresenta il male nella sua forma più pura, ossia quello che il potere esercita nei confronti degli indifesi e gli innocenti. Pasolini si concentra in special modo su ciò che il potere fa del corpo umano, la riduzione del corpo umano alla cosa, che ha come obiettivo l’annullamento della personalità. Il regista mostra il potere antico e immutabile, in questo caso fascista, che in virtù della sua impunibilità schiaccia senza pietà la gioventù che vorrebbe ribellarsi, costringendola a subire le più crudeli torture. Pasolini attacca il potere costituito e, similmente al film più celebre di Elio Petri, questo è innominabile, così come non hanno nomi i quattro Signori che ne incarnano le istituzioni: il Monsignore rappresenta la chiesa, l’Eccellenza la giustizia, il Presidente le banche e il Duca la nobiltà.

Salò è un film su come il potere possa mostrarsi nella sua forma più crudele: l’imposizione sugli indifesi con ogni tipo di violenza, tutto per il piacere personale. Pasolini nella sua critica mostra che cosa è capace di fare un uomo spogliato da ogni inibizione, libero dai giudizi morali ed etici, al riparo dagli sguardi del popolo e certo della sua impunibilità. La violenza è lo strumento che il potere utilizza per perpetuarsi e mantenere il proprio status, e per tale ragione Salò è inondata di ogni forma di violenza, rigorosamente fine a sé stessa.

La rappresentazione dell’anarchia del potere è vista dal regista come l’Inferno dantesco in terra. La villa di Salò è questo Inferno, i peccatori sono le Vittime innocenti che devono attraversare tre gironi, in un crescendo di depravazione. Se esiste il piacere, nella villa di Salò, è a uso e consumo solo di chi ha potere. Se esiste il dolore esso è manipolato da Signori e subìto in modo perpetuo delle Vittime. In quanto desiderato da chi detiene il potere, il dolore degli innocenti non fa altro che rinnovare l’eccitazione dei quattro libertini, spingendoli a nefandezze sempre più atroci. Ogni violenza viene estremizzata, perché, come recita la prima battuta del film, tutto è buono quando è eccessivo. Pasolini critica aspramente la società dei consumi, dove ogni cosa è spinta all’eccesso per poter essere apprezzata totalmente.

E la scena finale rappresenta l’ennesima critica alla società. Mentre all’esterno avvengono le più brutali uccisioni e torture, due collaboratori, annoiati, decidono di ballare maldestramente un valzer. In questa breve sequenza il regista toglie ogni speranza di redenzione, mostrando la fine della morale etica. Insensibile di fronte alla tragedia immane che si svolge proprio sotto i suoi occhi, una delle Vittime diventata collaboratore si è conformata a quello che voleva il potere, accettando la prassi. Nonostante abbia subito le violenze dei Signori non prova empatia per gli altri giovani che stanno venendo massacrati. Pasolini critica il conformismo della società consumistica e il suo essere infido, impalpabile e inesorabile, motivo per cui non viene rappresentato dai Signori. Il conformismo risulta ancora più anarchico del fascismo, perché non necessita di alcuna violenza per plasmare al suo volere i suoi subalterni, che diventano tali senza neanche accorgersene.

Salò resta tutt’oggi uno dei film più controversi, censurati, osteggiati e malfamati mai esisti, ma è forse la pellicola più importante dell’intera cinematografia italiana. E trattandosi del prodotto di uno dei più grandi artisti e geni che l’Italia abbia mai avuto, la cosa non dovrebbe sorprendere.

Scritto da

Pisano di nascita e romano d'adozione. Da diversi anni ho sviluppato una grande passione per i film, il cinema e tutto ciò che si lega a esso, dalle origini con Méliès, all'Espressionismo tedesco, fino alla contemporaneità.

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