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KEEPON LIVE, TRA INIZIATIVE E RAPPRESENTANZA

Tempo di lettura: 9 minuti

Io raramente preparo interviste, lui raramente si fa intervistare, entrambi amiamo stare dietro le quinte a lavorare per il settore dello spettacolo. In un’atmosfera da backstage ho preso un caffè con Federico Rasetti, Direttore di KeepOn LIVE, è stata un’ occasione per ricordare ciò che è stato ed immaginare quello che verrà, tra sorrisi, aneddoti e menu di portata.

Tra rapporti istituzionali e relazioni interne con un settore nuovo agli occhi dell’opinione pubblica, quanto è complicato il dietro le quinte della rappresentanza della scena musicale indipendente?

Sono relazioni che viaggiano su due binari paralleli, alle istituzioni presenti un prodotto solo da limare, quasi finito, in molti casi ti accompagnano nell’ultimo miglio del viaggio.  La costruzione del dialogo e la messa in rete di progettualità condivisa con la base associativa è un viaggio lungo e tortuoso, proprio per la stessa essenza delle realtà da noi rappresentate. Mi spiego, il nostro mondo è composto da realtà estremamente eterogenee, (live club e festival) parliamo di imprese ed associazioni abituate a ragionare in un’ottica circoscritta a livello territoriale, concentrata sullo sviluppo d’impresa profit e no profit, raramente il raggio d’azione va oltre i confini cittadini.

Federico Rasetti

Questa condizione specifica la troviamo soprattutto nelle piccole comunità dove il concetto di rappresentanza e “coscienza di classe” è molto limitato. L’aspetto più difficile è far comprendere il valore dell’unione, della condivisione progettuale e della raccolta dati, elemento di vitale importanza per un settore ancora non pienamente riconosciuto. Direi che il dietro le quinte è soprattutto questo, ascolto della base associativa e creazione della giusta consapevolezza in grado di identificarla in categoria e, quindi, di far valere le proprie ragioni sul piano nazionale.

Mi parlavi di realtà estremamente eterogenee, quando nasce il vostro percorso e quali sono le maggiori difficoltà?

Esistono due macroaree, la prima è quella rappresentata dalle realtà presenti in zone del Paese con poca densità abitativa, la seconda è rappresentata dalle sale concerto presenti nelle grandi città.

Per quanto riguarda la prima area, la rappresentanza nazionale è importante ma in molti casi non urgente, il progetto di ogni singolo locale è in molti casi strettamente legato alle amministrazioni locali, i rapporti sono spesso diretti e non necessitano di intermediazione da parte dell’associazione. Per quanto riguarda la seconda area, il discorso è chiaramente più complesso. Si lavora per lo sviluppo di “network cittadini”, si intercede con le amministrazioni più importanti creando sinergie con la politica di quel determinato luogo riuscendo così a creare modelli gestionali replicabili in tutti i territori.

KeepOn LIVE FEST 2018

Il nostro percorso nasce 16 anni fa, organizzare incontri tra operatori del settore ci ha dato la possibilità di far conoscere tra di loro le varie realtà, hanno iniziato a dialogare ed a conoscersi. Così via, anno dopo anno, meeting dopo meeting, siamo riusciti ad instillare, passami il termine, il seme della coscienza di classe e farli sentire finalmente una categoria.

L’Ultimo concerto

Negli ultimi anni avete proposto moltissime iniziative, dai meeting a StayOn per arrivare a “L’Ultimo concerto”.  Di cosa si tratta?

“Ultimo concerto” è una campagna per stimolare pubblico e istituzioni sul futuro dei Live CLub, oggi a rischio estinzione. Partecipano in oltre 120 per l’esattezza, praticamente la totalità a livello nazionale.

Collegandomi a quanto dicevamo prima, a proposito di mappatura, rappresentanza, rapporti con la politica, il ministero (MiBACT) in passato ha faticato nell’identificare i nostri luoghi, ora, invece, anche grazie a quest’iniziativa ora abbiamo la mappatura di quei luoghi che possono essere considerati a tutti gli effetti Live Club in Italia.  Dalla sala più grande al piccolo locale di provincia che, di fatto, corrisponde a tutti i criteri di un Live Club identificati insieme a ARCI, Assomusica e Jazz Club

Mappa Live Club

Una foto così lapidaria ha l’obiettivo di porre l’attenzione su queste sale. Serve a sensibilizzare l’opinione pubblica sulla condizione incerta e drammatica delle nostre sale concerto. D’altronde il punto di domanda stimola sempre una riflessione.
Senza girarci troppo intorno ti posso dire che più della metà di queste corre il serio rischio di non riaprire o di trasformarsi definitivamente in un pub o in un ristorante. In entrambe i casi ci troveremo di fronte ad una chiusura della loro funzione vitale per i territori d’appartenenza. I nostri spazi sono incubatori per musicisti, tecnici e professionisti del settore in generale.

Ti faccio degli esempi, l’Hiroshima Mon amour ha formato non solo i Subsonica ma tutto il loro staff tecnico. Un altro locale storico come il Velvet, ormai chiuso da tempo, ha formato decine di professionisti che hanno iniziato nel club e ora lavoravano in tournée. Come loro molti altri, L’Estragon, il New Age per citarne solo alcuni. Conti alla mano, tutti i club hanno una storia più o meno simile di formazione nei confronti di figure professionali che poi hanno fatto di questo la loro vita.

Ecco, questa situazione non può cancellare definitivamente un settore che negli ultimi 10 anni si è già quasi dimezzato. Servono ulteriori sostegni emergenziali adeguati e successivamente un riconoscimento da parte delle istituzioni per questa categoria, per far sì che tutte queste sale non siano costrette a chiudere, ma debbano anzi prosperare. Si parla non solo di mettere a rischio il loro futuro in termini prettamente economici ma, la loro chiusura svuoterebbe i territori da realtà vitali allo sviluppo socio-culturale degli stessi

Quest’iniziativa nasce dalla volontà/necessità di fare squadra, ad esempio per quanto riguarda ULTIMO CONCERTO voi siete i promotori insieme ad Assomusica ed Arci, mi dici quanto è importante fare squadra?

Moltissimo, per la prima volta si sono unite tutte le sale italiane. A dire la verità, il nostro percorso condiviso con Assomusica e soprattutto con Arci nasce molto tempo prima dell’iniziativa, ed è un percorso caratterizzato da un dialogo serrato e positivo.

I nostri due compagni d’avventura sono realtà diverse, soprattutto per dimensione economica delle realtà rappresentate (Assomusica grandi organizzatori, ARCI piccoli circoli no profit), eppure questo senza ombra di dubbio dimostra che si può collaborare utilizzando i minimi comuni denominatori esistenti.

Insieme, siamo riusciti a trovare un punto d’incontro, grazie a valori condivisi, dove tutto questo è riuscito ad emergere. Il piccolo locale è fucina del pubblico che poi andrà ai grossi concerti. Questa compattezza è fondamentale anche nel dialogo con le Istituzioni.

Abbiamo parlato del dietro le quinte, dell’equilibrio e di come una squadra ben assortita possa fare la differenza. Una costante di questo periodo è stato l’uso e abuso delle piattaforme di streaming per provare a mantenere una relazione con il pubblico, sai bene a cosa mi riferisco, cosa ne pensi di ITsART?

Franceschini ha più volte lasciato intendere che non si tratta di un prodotto sostitutivo del Live. Chi lavora nel settore non può che pensarla diversamente, non è stato creato un vero dialogo con le parti sociali che lo rappresentano.

Io non credo che vada a beneficio della musica dal vivo e i motivi sono molteplici: la piattaforma non va nell’ottica di un servizio complementare che invogli le persone ad andare al live, non è stata pensata una scontistica sui biglietti per il live in sala successivo, non è stato pensato un gadget da ritirare all’interno della sala concerto, né altri meccanismi di bundle marketing o di promozione territoriale. Non si può pensare di offrire parità di accesso economico per le produzioni di streaming, che per una piccola realtà sono molto più costose; non può avere un vero effetto scalabile di ascolti neanche per i “big” della musica italiana, il loro pubblico è di gran lunga inferiore a quello straniero. E proprio gli stranieri, in qualche caso, hanno dimostrato di poter davvero monetizzare dallo streaming. Staremo a vedere.

Il tessuto italiano delle sale è molto simile a quello imprenditoriale: un microcosmo rappresentato da tante piccole sale e pochi grandi club, all’estero – soprattutto nel nord Europa – avviene l’esatto opposto. Queste strutture faranno molta fatica a vedere la piattaforma come un servizio davvero utile e complementare.

Il rischio è quello di tener fuori una buona fetta di mercato, di non essere inclusiva.

Argomento in modo concreto. Il pubblico delle produzioni straniere è molto più vasto anche solo di quello degli artisti più importanti italiani.  Ad esempio, sento spesso fare riferimento a quella band asiatica che ha fatto milioni e milioni di euro in streaming, ma quello è un mondo che non può essere paragonabile al nostro; quindi, la programmazione in streaming tout-court senza un rimando concreto al live ha poco senso.

Pensa a quando acquisti il biglietto aereo, ti attaccano su il noleggio della macchina, un hotel etc. etc. Ecco, ho il dubbio che manchi un’offerta completa in grado di offrire sostegno ad un’economia concreta dei territori.

Immagina il piccolo live club, con una platea tra le 20 e le 50 persone, che pubblico potrà aver mai in streaming? Può essere più vasto? Magari sì, ma non credo si possa permettere di inserire il concerto di un’artista emergente a pagamento. Il pubblico in questi spazi viene molte volte attratto più dall’esperienza offerta che dal contenuto.

Se non si era capito, a livello personale sono profondamente contrario allo streaming così come è stato proposto, i nostri associati sono allo stesso tempo contrari e preoccupati.

Se lo streaming fosse utilizzato come uno strumento di audience development, facendo – forse – presa sui più giovani, potrebbe essere effettivamente utile. Questa è un’urgenza e non ti nascondo che anche qui bisogna stimolare molto la categoria stessa e riuscire a capire come attrarre nuovi pubblici, soprattutto per il futuro. Scrollarsi di dosso il day by day e riuscire a pensare ai prossimi anni senza dimenticare che il pubblico attuale dei concerti è rappresentato ad oggi dalla nostra generazione (una bella classe ’83 aggiungo). Impostato in questo modo, però, non fa altro che rafforzare la competizione tra esperienza dal vivo e divano. È inutile girarci intorno, le persone stanno in casa a guardare le serie tv. Purtroppo cambiano le abitudini e la sedentarietà sta aumentando tantissimo e questo, chiaramente, va a discapito delle piccole realtà.

Chiudo con un dato: questa piattaforma ha visto un investimento pubblico di 10 milioni di euro, pensa che con una cifra molto inferiore – una forbice tra i quattro ed i sei milioni di euro – si potrebbero salvare tutti i Live Club italiani garantendo la sopravvivenza a chi ha un impatto reale sui territori.

Fede, ci avviamo verso la conclusione. Avete immaginato una ricetta da presentare al prossimo Governo? Tecnico o Politico poco importa.

Guarda, più che ricetta abbiamo preparato un vero e proprio menu di tre portate (ci scappa un sorriso ad entrambi). L’antipasto è il fondo emergenziale, tramite un nuovo avviso o ristoro che dir si voglia, la condizionale è che possa essere verticale sulla categoria dei Live Club. Insieme ad Assomusica ed ARCI abbiamo identificato i punti qualitativi ed identificativi per la definizione stessa dei Live Club andando così ad ampliare un lavoro iniziato insieme due anni fa (anche qui sorridiamo).

Siamo riusciti ad unire dei punti quantitativi; un ristoro non può essere identico per il Super Club della grande città e la piccola sala concerti di provincia. Abbiamo così ipotizzato una tabella per una distribuzione equa di questo fondo e, nei criteri qualitativi identificativi, abbiamo suggerito una via diversa da quella dei Codici Ateco.

La seconda portata è quella del riconoscimento, credo possa essere realizzato relativamente in fretta. Un buon passo in avanti l’abbiamo vissuto con l’apertura al Fus, di cui siamo stati molto contenti, peccato che a quest’apertura non si sia dato seguito con l’individuazione da parte del Ministero dei criteri; è uscito giusto ieri il decreto e la parola Live Club… scomparsa!

L’operazione, a questo punto, rimane una mera operazione di comunicazione politica inserendo la parola Live Club nel comunicato stampa, ma a conti fatti con criteri che, da quanto stiamo studiando, ancora una volta sono inapplicabili per queste strutture. Un’ipotetica soluzione potrebbe essere rappresentata dall’istituzione di un albo, in grado di riconoscere questi luoghi sul modello del Cinema d’Essai e quindi riuscire a sovvenzionarli in modo stabile.

Il dolce è rappresentato da proposte di riforma, dall’abolizione dell’ISI, l’aumento definitivo delle capienze al 2.0 a mq e l’equiparazione delle stesse per differenti spettacoli di ballo e concerto, fino all’equiparazione dell’IVA sui biglietti (fra spettacolo danzante e concerto), oltre chiaramente all’abbassamento dell’iva al 10% per tutti i servizi allo spettacolo non accessori (agenzia, service, ecc.)

Un’ ultima battuta, cosa ne pensi della proposta rilanciata dalla Melandri sulla Defiscalizzazione del prodotto culturale?

Concordo assolutamente, così come credo che l’Art Bonus sia da estendere a favore di tutti gli enti pubblici e privati che si occupano di attività, produzione, realizzazione, servizi, formazione in ambito culturale. Mi piacerebbe venisse ampliata la platea della 18app. Se partiamo dal presupposto che la cultura sia un bene essenziale, allora perché non agevolarne il consumo anche oltre i 18 anni?

Bene, il menu l’abbiamo presentato ed in parte servito.  insieme a Federico e tutti coloro che lavorano per sostenere il comparto dello spettacolo non ci resta che andare a prendere caffè ed ammazzacaffè con il nuovo Governo, qualunque esso sia.

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