Da Ulisse a Regeni, il teatro tragico che cerca la verità. Cinque nuovi testi dell’autrice Lina Prosa, fortemente evocativi anche senza la scena, senza la risonanza del corpo dell’attore, del ritmo teso della rappresentazione. In “Pagina Zero“ si materializza quella possibilità nella quale la condivisione di parole costituisce una comunità, che non aspira alla catarsi ma anzi cerca il coraggio di una ribellione, di un balzo a pagina uno.
«A pagina zero troverai quello che non c’è da pagina 1. C’è sempre un’anteprima, un tempo antecedente alla scrittura che occupa più spazio e più tempo di quello che ti è consentito vedere nell’agglomerato di parole. Per quanto mi riguarda, pagina uno è il seguito di una pagina zero che a sua volta guarda all’indietro a materiali dispersi nella geografia interiore, simili a quelli che la marea, il naufragio, la folata di vento depositano e ammassano, senza forma e senza ordine, al primo bordo di contenimento. Potrei chiamare la pagina zero la “porta del testo” o la pagina della rabbia e della pietà. Lo capirai appena avrai letto i testi».
(Lina Prosa)
Il volume, edito da Editoria&Spettacolo, si suddivide in cinque testi legati tra loro dalla ricerca della verità, cinque aspetti ruvidi della contemporaneità, raccontati con l’abilità plastica del teatro tragico, capace di rendere solidi i concetti astratti, di fare della parola un fatto, di un nome una persona, di un sentimento un’azione:
Ritratto di naufrago numero zero: nasce come appendice alla “Trilogia del Naufragio” (Lampedusa Beach-Lampedusa Snow-Lampedusa Way) abbarbicato quindi ai precedenti testi come un riccio al grande corpo della roccia. Ugualmente Desirèe, semplicemente donna innamorata e protagonista di una storia privata, finisce per essere strettamente legata alla tragica storia dell’emigrazione clandestina. Che hanno in comune? Abbandonata dall’amato che ha preferito vendere ai libici la barca dell’amore, Desirèe ritorna sulla spiaggia dell’amore e si ritrova insieme al cadavere di un naufrago-migrante depositato dal mare, all’improvviso, davanti ai suoi piedi.
Formula uno: Ayrton Senna-campione di massima velocità è il capezzale del letto di Primo e Maria Esmeralda. I due sono strutture umane della minima velocità/ ultimi, sono ultimi. Brasile/foresta amazzonica/sfruttamento del caucciù/sfruttamento della debolezza umana desiderosa di riscatto.
Il buio sulle radici: o la ricostruzione del Partenone, l’atelier di strada per prostitute-transessuali-ragazzi perduti. Dove? In Grecia? No, ad Instabul. Esperienza di rottura fatta da Pinar Selek, condannata, torturata/ da anni profuga in terra di Francia. Ritornerà nella sua città? Il suo atteso ritorno è stillicidio di linguaggi inconciliabili/di strada/di polizia. Stridori di azioni che mai giungono a compimento.
Gorki del Friuli: il testo sulla fabbrica dell’umano attraversato dalla concezione di un’Antigone diffusa a macchia di sentimento nella tragedia comune, di genitori comuni. Il processo è alla prova, arrangiato da genitori fuori dalla cronaca. Testo-processo/di ingenui. Rimbalzo poetico. Urgenza. Urgente condannare il colpevole. Non sono loro i genitori di Giulio Regeni. Sono voci drammaturgiche tragiche per il solo fatto che da genitori sono preoccupati, combattuti, impotenti a cambiare il destino del figlio
Ulisse Artico, che ci fa Ulisse in un mare non suo? Tra i cinque è l’unico testo senza pagina zero, perché tutto il testo è una lunga pagina zero. Il paesaggio del nuovo nulla che il riscaldamento climatico disegna per sottrazione, nel grande nord bianco, permette solo una anteprima drammaturgica di ciò che somiglia alla fine. Dov’è Itaca nel mare Artico? All’Odissea contemporanea viene a mancare proprio Itaca, il luogo del ritorno, la direzione verso cui indirizzare il viaggio.