Il rock moderno e le sue implicazioni di impatto con la società, prende il via con “Visioni Rock” la rubrica a cura di Antonio Derinaldis: “Rockstory, Società e Conoscenza”
Gli anni musicali passati del panorama rock, ci hanno offerto le pagine più belle che siano mai state lette, scritte e “ascoltate”.
“Never mind the bollocks” dei Sex Pistols oppure “London Calling” dei The Clash hanno segnato generazioni musicali, culturali e non solo.
Spesso studiamo il fenomeno Jim Morrison o Jimmy Hendrix come artisti che con le loro vocalità o arrangiamenti di chitarra, hanno accompagnato le band a venire. Come non citare gli U2 di Bono Vox e la sua eclettica “October” dove abitano melodie post new-age che cambieranno il percorso storico del rock europeo e statunitense.
Il rock e l’hard rock nelle sue diverse “eteropiche dimensioni” ha subito il fascino della contemporaneità ma anche della sperimentazione “progressista”. Il rock italiano è sicuramente passato per “Amandoti” dei CCCP, per “Amsterdam” dei Diaframma, per “Paname” dei Litfiba, per “Senza Vento” dei Timoria ma anche per un genere “garage – underground” che ha plasmato spartiti “digital alternative” contaminando suoni, colori, scenografia e direi “spettacolo”.
Vedi i Ritmo Tribale, i Marlene Kuntz, gli Afterhouse di Manuel Agnelli. A tal proposito ricordiamo “Enjoy the silence” dei Depeche Mode che ha rafforzato la natura “electro” dei Lacuna Coil.
A livello europeo e mondiale l’ultimo periodo è stato caratterizzato da una fenomenologia “rockers” completamente connessa al “mondo digitale”, alla “transizione green” e alla ricerca di un “nuovo umanesimo”.
Impossibile non rievocare “New Divide” o “Ultimate Masquerade” dei Linkin Park, “Digital World” della band svedese degli Amaranthe oppure “Human” dei tedeschi Beyond the Black nell’inconfondibile voce di Jenny Haben, autentica enfant prodige dello scenario epico nei concerti in tour a livello internazionale.
Le visioni “gotiche” che hanno attraversato l’Italia con i The Cure nell’insostituibile album “tecnopsichedelico” di “Disintegration” oppure le sonorità “poetiche” di Ian Curtis dei Joy Division rimangono nella nostra cognizione patrimonio culturale di come già il rock e la musica in generale era già in cammino verso il nuovo, verso il tempo che verrà.
Il sound dei Måneskin è un rock direi “diverso da loro” ma anche una nota letteraria di riflessione sulla “mutatio temporum”, sulla società che cambia e delle sfide che la attendono.
La pandemia ha influenzato la visione del rock nelle sue diverse “anime” nascenti.
Anche il DJ Alan Walkers con il brano “Faded” e “Unity” ha ridisegnato territori urbani nel quale il brocardo latino riportato da Papa Francesco “Pars pro toto” fa la sua comparizione. Lo stesso Walkers dice “We are Unity” (“Noi siamo l’unità”).
I Måneskin prima di approdare sul “terrazzo” della musica della canzone mondiale hanno raccontato momenti “oggettivi” della società come “Torna a Casa”, “Vent’anni” o “Parole Lontane”.
“Ma se trovi il senso del tempo risalirai dal tuo oblio. E non c’è vento che fermi la naturale potenza dal punto giusto di vista, del vento senti l’ebrezza”.
Zitti e buoni, Måneskin
Testi e parole che lasciano a riflessioni e che “nuove visioni sono possibili, la musica e il rock spesso lo hanno anticipato. E la PMF è lì implacabile a ricordacelo:
“Ma intanto il sole tra la nebbia filtra già. Il giorno come sempre sarà”.
da Impressioni di Settembre
La Rubrica RockStory è un’approfondimento di carattere scientifico e di lettura del nostro tempo su come testi, arrangiamenti, note musicali del rock nelle sue diverse dimensioni, hanno influenzato il costume e la società moderna, creando una vera e propria sociologia del pensiero rock.