Dopo la solenne bufera di giovedì 5 settembre, torna il sole al lido di Venezia dove si è conclusa una delle edizioni più calde di sempre del Festival del Cinema più antico del mondo. 11 giorni, 85 nuovi lungometraggi della Selezione Ufficiale, 17 cortometraggi, 5 serie TV, 18 film restaurati e 63 opere in realtà virtuale. Un’edizione che non ha visto passare capolavori o film che hanno convinto all’unanimità (ad eccezione, addirittura, di una serie TV), rendendo la serata finale particolarmente attesa. Se l’anno scorso infatti “Poor Things” di Yorgos Lanthimos aveva conquistato i cuori di pubblico, critica e accreditati senza molti dubbi nonostante la presenza di ottimi film come “Green Border” di Agnieszka Holland e “Evil Does Not Exist” di Ryūsuke Hamaguchi, oltre alla miglior regia di Matteo Garrone per “Io Capitano”, quest’anno non c’è un film che ha convinto tutti in maniera così netta.
Molte le star che hanno calcato il red carpet in un’edizione più glamour che mai, dal ritorno della coppia Brad Pitt e George Clooney a quella nuova composta da Joaquin Phoenix e Lady Gaga. Ma soprattutto molte le discussioni tra gli appassionati, che tra un film e l’altro si sono accomodati in massa nelle aree ristoro (spesso affrontando lunghe code per spritz e caffè) o seduti sul prato discutendo i loro film preferiti.
Tra le opere più discusse non poteva ovviamente mancare “Joker: Folie à Deux”, il ritorno del pagliaccio del crimine che dopo aver vinto il Concorso nel 2019 si presenta in salsa musical aggiungendo Lady Gaga a Joaquin Phoenix, in un’operazione che però sembra aver diviso molto il pubblico, tra chi lo critica fortemente e chi lo loda. Harmony Korine torna a sconvolgere la definizione stessa di cinema con “Baby Invasion”, folle viaggio sotto acidi a metà tra videogioco, live twitch (con tanto di twitch chat a schermo) e realtà, un’allucinazione digitale post-mediale che non lascia punti di riferimento, accompagnata dalla colonna sonora di Burial.
Venezia81, i vincitori del concorso
Alla fine a spuntarla sulla linea di arrivo è stato “The Room Next Door” di Pedro Almodovar, film che indipendentemente dalle valutazioni personali è indubbiamente un’opera minore nella straordinaria filmografia del regista spagnolo, e che lascia un po’ l’amaro in bocca verso una giuria che avrebbe piuttosto potuto premiare qualcosa di più fresco e nuovo. Meritato il premio a Brady Corbet per la miglior regia, che in questo modo diventa ancora più simile all’ossessivo perfezionista Laszlo Toth (interpretato da Adrien Brody), protagonista dell’epopea raccontata in “The Brutalist”, la cui intensità visiva e narrativa lo portavano in lizza fino all’ultimo per il possibile Leone d’Oro.
Anche un po’ di Italia tra i vincitori con il Gran Premio della Giuria a “Vermiglio” di Maura Delpero, film in ladino su una piccola comunità montana in cui arriva un partigiano ferito; ma anche (un po’ a sorpresa) molta Francia con le vittorie di Vincent Lindon alla miglior interpretazione maschile per “Jouer Avec le Feu” e Paul Kircher, Premio Mastroianni per il miglior attore emergente con la sua interpretazione in “Les Enfants Après Eux”. Solo miglior sceneggiatura per “Ainda Estou Aqui” (I’m Still Here) di Walter Salles, indagine familiare nella memoria dei desaparecidos brasiliani per cui ci si aspettava qualcosina in più, in particolare per l’attrice protagonista Fernanda Torres, superata (molto a sorpresa) da Nicole Kidman in “Babygirl”, in cui l’attrice interpreta una donna in carriera coinvolta in una relazione sessuale con un giovane stagista. Atteso il premio per “April” di Dea Kulumbegashvili, Premio Speciale della Giuria, che segue senza veli il lavoro di una ostetrica georgiana. A mani vuote invece Luca Guadagnino, che dopo il premio alla regia con “Bones and All” nel 2022 non replica con “Queer”, ispirato all’omonima opera di William Burroughs.
Venezia81, la sezione Orizzonti
Se nel concorso principale ci sono state molte discussioni sui film da premiare, meno dubbi nella sezione Orizzonti in cui “Familiar Touch” di Sarah Friedland si porta a casa miglior regia, miglior opera prima (premio trasversale nel concorso) e miglior interpretazione femminile a Kathleen Chalfant, in un delicato dramma su una donna con problemi di memoria in una casa di riposo. A vincere il concorso è invece Anul Nou Care n-a Fost (The New Year that Never Came) di Bogdan Mureșanu, film rumeno che mostra la dittatura di Nicolae Ceaușescu attraverso la paranoia di sei personaggi, sei microstorie che potrebbero venire fuori da un film di Woody Allen o di Almodovar, ma in cui la causa della nevrosi è la repressione politica e l’ansia di doversi guardare sempre le spalle.
Premio Speciale della Giuria Orizzonti per Hemme nin Öldüğü Günlerden Biri (One of Those Days When Hemme Dies) di Murat Fıratoğlu, e Premio Orizzonti per la Migliore sceneggiatura a Scandar Copti per Happy Holidays, e anche qui presente un po’ d’Italia con la vittoria di Francesco Gheghi per la Miglior interpretazione maschile: in “Familia” di Francesco Costabile.
I film più interessanti da recuperare
Tra i vincitori, ma anche oltre ai vincitori, Venezia ha comunque regalato diverse opere interessanti e di cui vale la pena segnarsi le date di uscita al cinema. Tra i premiati occhio al Leone d’Oro “The Room Next Door” di Pedro Almodovar, nelle sale dal 5 dicembre 2024 (distribuito da Warner Bros Italia), e “Vermiglio” di Maura Delpero, che uscirà il 19 settembre con Lucky Red. Ancora non ufficiale la data di “Diciannove” di Giovanni Tortorici, opera prima che ha convinto la stampa nazionale e internazionale con protagonista un solitario studente fuori sede, presentato nella sezione Orizzonti.
Ancora attesa per la distribuzione italiana di “The Brutalist” (non facilissima data la durata di 215 minuti), il monumentale kolossal che segue e rovescia gli stilemi del cinema classico hollywoodiano e che è valso a Brady Corbet il Leone d’Argento per la miglior regia.
1° gennaio 2025 è invece la data d’uscita ufficiale per il terzo ritratto al femminile di Pablo Larrain, che in “Maria” dirige una elegantissima Angelina Jolie nella storia di una diva che sceglie l’autoreclusione nei suoi ricordi e negli allucinogeni, nella storia di una diva intrappolata nel suo passato.
Senza premi “Queer” di Luca Guadagnino, che dopo l’esplosione di “Challengers” torna con un film più intimo e delicato, in cui sembra quasi voler superare la bidimensionalità dello schermo cinematografico per diventare materia. Un film tattile, in cui il tocco dell’altro e il toccare l’altro diventano necessità, fino a scomparire in un unico corpo.
Esplosivo, fluido e divertente, tra i film da recuperare è da citare anche “El Jockey” di Luis Ortega, anch’esso andato a casa senza premi. Peccato perchè Nahuel Pérez Biscayart avrebbe decisamente meritato la coppa Volpi per la miglior interpretazione, anche se forse sarebbe restato il dubbio, dato il suo ruolo nel film, se per quella maschile o femminile.
Molto convincente anche il film vincitore di Orizzonti “Anul Nou Care n-a Fost” (The New Year That Never Came), film rumeno in cui sei personaggi sull’orlo di una crisi di nervi cercano di sottrarsi all’ossessivo sguardo della dittatura di Nicolae Ceaușescu, fondendo dramma e commedia, storie personali e conseguenze nazionali, dove anche un petardo può far scoppiare una rivoluzione. Due premi ad Orizzonti e miglior opera prima per “Familiar Touch” di Sarah Friedland, un film delicato e sensibile che affronta un tema troppo spesso ignorato.
Sorprendente il folle documentario sui Pavement diretto da Alex Ross Perry. “Pavements”, al plurale, plurale come i livelli narrativi e di realtà in cui la band viene raccontata, attraverso footage e vecchie interviste, nuove interviste, il behind the scenes di un Musical ispirato alle loro canzoni, un finto biopic con le interpretazioni di Joe Keery (noto soprattutto per l’interpretazione di Steve Harrington in “Stranger Things”) e Jason Schwartzman, il behind the scenes di questo finto biopic, una mostra in un museo e un sacco di musica di una delle band cardini degli anni ‘90, il tutto con un montaggio impressionante.
Tra le commedie spiccano “Paul and Paulette Take a Bath” di Jethro Massey, presentato nella sezione settimana internazionale della critica e vincitore del premio del pubblico, una rom-com con un gusto indie e grottesco in cui i protagonisti sono legati da un particolare gusto ironico per il macabro, ma anche “Peacock” di Bernhard Wenger, anche questo nella sezione SIC. Fuori Concorso invece il surreale ritorno di Takeshi Kitano (o Beat Takeshi, se preferite) in “Broken Rage”, un’ora che attraversa neo-noir giapponese e slapstick comedy alla Buster Keaton per finire nella follia più totale, metateatrale e demenziale, in quelli che probabilmente sono i 62 minuti più divertenti è sorprendenti di tutto il festival.
Lacrime invece con “Soudan, Souviens-toi, presentato nella sezione Giornate degli Autori, un documentario diretto dalla giornalista e regista francese di origine nordafricana Hind Meddeb che ci fa entrare nei sit-in pacifici per la fine della dittatura militare in Sudan attraverso musica, poesia, cultura. Racconti di sogni e speranze che vengono spazzate via il 3 giugno 2019, giorno della Strage di Khartoum. Meddeb continua a tornare in Sudan e a documentare la lotta, i morti, le speranze di una generazione, in un’opera che diventa testimonianza fondamentale di una cultura e di un popolo che lotta ogni giorno, nel silenzio generale, per la democrazia.
Altro documentario particolarmente utile per capire il mondo in cui viviamo è “Homegrown” di Stephen Gyllenhaal, che accompagna tre attivisti pro Trump affiliati al movimento suprematista bianco dei Proud Boys nella loro vita quotidiana e politica. Dalle fasi finali della campagna elettorale 2020 fino all’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021, la troupe ha accompagnato i protagonisti filmando delle scene particolarmente incredibili su uno degli eventi storici recenti più impattanti della storia della democrazia americana, entrando nel modo di pensare e vivere di queste persone al di là delle banalizzazioni e degli stereotipi.
Infine, forse l’opera più attesa in assoluto e che sembra aver convinto tutti a Venezia: “M. Il figlio del Secolo”, la serie TV proiettata in due tranches da 4 episodi a testa, per un totale di 200 minuti a proiezione, della nuova serie targata Sky diretta da Joe Wright e che vede Luca Marinelli nei panni di Benito Mussolini. Che l’opera più interessante in un Festival del Cinema sia una serie televisiva dice decisamente molto di quanto i tempi stiano cambiando, ma anche di come il Festival di Venezia ha accolto queste forme inserendole nel proprio palinsesto, ponendosi da precursore, così come dimostra anche la crescita continua della sezione Venice Immersive dedicata alle nuove tecnologie XR
Prenotazioni, mezzi e code: un’edizione più ordinata ma ancora migliorabile
Anche quest’anno alla conclusione del festival è tempo di tirare le somme su una edizione che ha visto nuovamente aumentare il proprio bacino di utenza. 94.703 biglietti venduti (+14% sul 2023) e 13.866 accrediti ritirati (+6.5% sul 2023), in quello che logisticamente è stata una edizione che rispetto ad altri anni è passata particolarmente liscia. Certo, l’aumento delle persone rende sempre più difficile l’accessibilità agli spazi, spesso ad esempio in sala stampa i posti sono tutti pieni e le postazioni con i pc occupate da chi usa comunque i propri device, mentre i due bar principali in alcuni orari erano molto affolati, causando file spesso lunghe che con la coincidenza del grande caldo di quest’anno ha reso particolarmente stancanti alcune situazioni. Probabilmente, se il numero di accreditati continua ad aumentare con questi ritmi, tra non molto sarà da valutare l’allestimento di qualche punto ristoro, oltre che qualche sala, in più.
Il sistema di prenotazione, nonostante alcune difficoltà a prenotare le prime con il pubblico e delle proiezioni in cui faceva accedere alla prenotazione per poi rivelare l’assenza di posti (problema comunque risolto nel corso del festival), ha retto tutto sommato bene, ed è molto apprezzabile il ritorno della scansione dell’accredito piuttosto del download per singolo biglietto. Più difficile infatti nella sezione Venice Immersive, dove internet prende molto poco e la richiesta di scaricare i biglietti effettivi a volte rende complessa la vita degli spettatori. Bene anche l’introduzione della rush line, permettendo l’entrata in caso di posti liberi agli aventi accredito senza prenotazione.
Un saluto dolce quello a Venezia81, in un’edizione riuscita in cui era tutto presente tranne che qualche film di quelli che ti colpiscono fino in fondo e che ti rimangono per anni. Un saluto che porta già la data del nuovo appuntamento, nuovamente anticipato rispetto agli scorsi anni. Ci si rivedrà al lido dal 27 agosto al 6 settembre 2025, sperando che Venezia82 ci regali tanto altro cinema di qualità.