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Cinema, Festival

Festival Internazionale di Berlino 2023: tra cinema e impegno politico

Tempo di lettura: 3 minuti

Con la cerimonia di premiazione di domenica 26 febbraio si è concluso il Festival Internazionale del Cinema di Berlino 2023. La 73esima edizione, diretta da Carlo Chatrian e Mariette Rissenbeek per la quarta volta, ha proiettato più di 400 film di ogni genere e formato, radunando artisti da tutto il mondo.

Oltre all’Orso d’oro alla carriera per Steven Spielberg, alla consacrazione internazionale per Disco Boy, l’opera prima del regista italiano Giacomo Abbruzzese e ad altre interessanti pellicole, l’edizione della Berlinale si è caratterizzata fin da subito come una delle più politicamente impegnate degli ultimi anni.

Il direttore artistico Carlo Chatrian, ha affermato che partecipare al Festival “significa stare spalla a spalla con chi lotta per esprimere le proprie idee e con quelli che rifiutano di sottomettersi a una visione conformista della realtà”.

Prendendo una posizione netta sulla guerra in Ucraina, sulla rivolta iraniana, sul clima, l’obiettivo di questa edizione del Festival è stato “la celebrazione del cinema come lotta per la libertà”.

Questa è infatti la frase con cui l’attrice iraniano-francese Golshifteh Farahani, designata come uno dei sette giurati, ha preso parola alla conferenza stampa d’apertura del Festival. Farahani conosce bene le difficoltà e le privazioni a cui deve sottostare una donna sotto il regime iraniano, essendo stata bandita dal paese nel 2008 per essersi rifiutata di indossare il velo durante la proiezione di Nessuna Verità e aver fatto parte di un gruppo musicale rock.

L’attrice si è scagliata duramente a favore della rivoluzione delle donne iraniane contro la dittatura dell’Ayatollah Khamenei e la sua ideologia liberticida e censoria, affermando che:

il “regime mente, il regime uccide, il regime mette le persone innocenti in carcere, artisti, giornalisti. I dittatori attaccano arti e cultura: le arti e la cultura sono il cuore della società. Gli artisti possono migliorare il mondo, influenzare e ispirare le persone”.

Golshifteh Farahani

Non è quindi un caso che lo slogan delle proteste in Iran “Donna, vita e libertà” sia diventato uno dei motti degli artisti della Berlinale.

Farahani, vista la città in cui si svolge il Festival, ha voluto infine ribadire che “il muro della dittatura in Iran è finto”. In merito alla questione iraniana, il 18 febbraio il Festival di Berlino ha organizzato un incontro speciale tra politici e registi iraniani, curdi e afghani col titolo “The Jin, Jiyan, Azadi Effect – il ruolo del cinema e delle arti nella Rivoluzione Iraniana”.

Il secondo dei grandi temi sociali trattati è stato quello della guerra in Ucraina. Il Festival di Berlino si è schierato a sostegno degli ucraini, permettendo al presidente Volodymyr Zelensky di aprire la Berlinale con un videomessaggio in cui ha accusato Vladimir Putin di voler costruire un muro tra l’Ucraina e l’Europa come in passato fece l’Unione Sovietica nella capitale tedesca.

Il leader di Kiev ha poi rivolto un appello agli artisti per continuare a sostenere l’Ucraina:

In tempi come questi l’arte non può restare fuori, non può essere indifferente, non può essere neutrale. Deve pronunciarsi, deve esplicitare la sua posizione. Un buon film può influenzare, può ispirare, può contribuire a cambiare il mondo. Il vostro sostegno è importante per noi; ci separano centinaia di chilometri ma siamo fianco a fianco. Parliamo lingue diverse ma parliamo la stessa lingua”.

Volodymyr Zelensky

Una dimostrazione delle parole di Zelensky è data dal due volte premio Oscar Sean Penn, il quale ha presentato al Festival il suo documentario Superpower, girato a Kiev e incentrato sulla figura del presidente ucraino e di come sta vivendo la tragica situazione del suo paese.

Inoltre, il 24 febbraio, in occasione dell’anniversario dell’invasione dell’Ucraina, sul tappeto rosso di Berlino si è svolta una manifestazione a sostegno degli ucraini. Tra i presenti c’era l’ambasciatore ucraino Oleksii Makeiev e la ministra tedesca della Cultura Claudia Roth. I manifestanti sono rimasti in silenzio con bandiere dell’Ucraina e cartelli con la scritta “Stand with Ukraine”.

Un’edizione che ha trovato nell’impegno politico dell’arte anche la sua chiusura: la vittoria dell’Orso d’Oro al documentario Sur l’Adamant, del regista francese Nicolas Philibert, che racconta di una struttura in mezzo alla Senna dove molte persone, affette da disturbi psichiatrici, si ritrovano insieme a volontari, psichiatri e psicologi per sperimentare insieme ogni tipo di attività artistica.Un’ulteriore prova che l’arte è sinonimo di lotta per la libertà, non solo in tragiche guerre o eroiche proteste contro dittature, ma anche nell’affermare la propria essenza e superare le differenze.

Scritto da

Pisano di nascita e romano d'adozione. Da diversi anni ho sviluppato una grande passione per i film, il cinema e tutto ciò che si lega a esso, dalle origini con Méliès, all'Espressionismo tedesco, fino alla contemporaneità.

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