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IL TEATRO NON VIVE IN VIRTUALE

Tempo di lettura: 3 minuti

Che il settore culturale in Italia non è più argomento d’interesse di chi amministra la cosa pubblica è stato acclarato dall’ultimo DPCM che, non solo non ha riaperto i teatri e le sale di spettacolo, non ha fatto alcun cenno al mondo dello spettacolo dal vivo congelato al 3 novembre scorso.

E’ un periodo questo in cui tutte le reazioni a qualsivoglia stimolazione sembrano legittime ma rischiano di generare confusione nell’opinione pubblica, almeno in quella avulsa da determinati settori. Dal “caso” Ilaria Capua che ha generato qualche malumore e nulla più (secondo la virologa cinema e teatri sarebbero luoghi adatti per effettuare la campagna di vaccinazione antiCovid) alla piattaforma Chili per fondare una “Netflix della cultura” sulla quale punta il ministro Franceschini per arginare il problema.

Il settore che più di ogni altro è risultato essere sicuro durante la riapertura nei mesi estivi è stato nuovamente sospeso nelle sue attività con la presenza di pubblico ma si continua a puntare sul digitale.

Al danno del C-19 e alle tante problematiche sanitarie per tutte le altre patologie messe in secondo piano dalla pandemia, al problema economico finanziario in tutti i settori, è fuor di dubbio che l’irresponsabilità nel tenere chiusi i teatri rischia di far ammalare la psiche e il corpo delle persone.

E’ vitale il bisogno di luoghi in cui mettersi in scena per capirsi, osservarsi e riconoscersi. Filosofi e divulgatori, Andrea Colamedici e Maura Gancitano lo scrivono a chiare lettere: “i teatri – e in generale gli spettacoli, i concerti, gli eventi – sono la scuola di tutti, mezzi essenziali per rinnovare il nostro essere umani. Una società che apre le vie dello shopping e chiude i teatri è semplicemente una società disumana. Quando passerà tutto questo pagheremo a lungo le conseguenze della nostra ignoranza emozionale, se non sapremo ripensare presto le priorità della nostra vita comune”.

Il mondo dello spettacolo dal vivo è vivo, ancora. E’ vivo e si dimena sui palcoscenici di fronte a platee vuote. Lo streaming fa boccheggiare artisti e spettatori ma non li fa, ancora, morire. Sono molteplici le iniziative nate per garantire la retribuzione agli artisti anche se le loro performance non si sono potute svolgere in presenza ma solo adattando gli spettacoli con soluzioni idonee al particolare periodo. Festival che hanno creato dirette streaming dello stesso spettacolo, senza pubblico, per far esibire le compagnie scritturate, per farle “allenare”, per restare vivi e in contatto con gli spettatori sul divano di casa (leggi NDS del 18 novembre scorso). Spettatori che si collegano da ogni angolo del mondo, e della casa, per scorgere un battito di teatro.

Mancherà la mondanità e il foyer pieno ma la prima della Scala in programma stasera alle 17.00 ci sarà, solo in tv. Per la prima volta nella storia non sarà un’opera ad aprire la stagione lirica della Scala ma una serie di brani che ripercorreranno la storia. Lucia di Lammermoor non si farà, il Covid tra orchestra e coro ha fatto danni. Il vibrante sestetto creato da Donizetti ha lasciato però il segno, ha provocato la pronta reazione del Teatro alla Scala che al comando “Chi mi frena in tal momento?” ha virato il programma su una serie di brani che ripercorreranno la storia dell’opera.

Il virtuale non basta all’arte dal vivo, non sostituisce, è un fattore esclusivamente complementare. Sospendere la sospensione tendendo le distanze, è necessario.

Scritto da

Green Event Manager. Direttore editoriale e coordinatore delle attività di redazione della testata “Notizie di Spettacolo” nel 2022. Dal 2014 coordina le attività di Italiafestival, l'associazione dei festival italiani. Ha scritto per diverse testate giornalistiche di attualità, sport e cultura.

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