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QUANDO LA TERRA, IMPORTUNATA DAL SOGNO, RIGURGITÒ UN LONTANO PASSATO

Tempo di lettura: 3 minuti

Dal 29 gennaio su Netflix il film “La nave sepolta” di Simon Stone. Una rapida distribuzione nelle sale e l’elegante lungometraggio del regista australiano sbarca sulla piattaforma più famosa al mondo. Dal romanzo di John Preston, che riporta alla memoria gli scavi di Sutton Hoo, sito di due cimiteri anglosassoni del VI e VII secolo, la sceneggiatura di Moira Buffini; quindi l’elegante pellicola, di gusto spiccatamente british, che gioca la partita delle passioni bisbigliate e decorose sul terreno magnetizzante della campagna a oriente del fiume Deben. 

Così che, mentre il cielo s’appresta al secondo conflitto mondiale, la terra abbia nuovo passato da disseppellire. Così che alle incertezze dei giorni di là da venire e, più in generale, alla caducità della vita si sovrappongano le magnificenze di un tempo manifestamente ossequioso verso la morte. 

Edith (Carey Mulligan), vedova del tenente colonnello Frank Pretty e madre premurosa del piccolo Robert, affida gli scavi di Sutton Hoo a Basil Brown (Ralph Fiennes), archeologo avulso dal contesto scientifico che opera nel British Museum, ma capace come pochi di fiutare gli odori della terra che occulta segreti. Basil rischia persino la vita durante gli scavi: l’udito contraffatto dalla sabbia e noi lì, a percepire insieme a lui il lieto trambusto delle manovre che lo salvano.

Si dissotterrano tesori e contemporaneamente si tessono trame di esistenze tra i tumuli di terra e il rombo degli aerei dell’aviazione. La fotografia di Mike Eley, raffinata metafora dei mutamenti cui soggiace l’uomo, deifica la quiete e un istante dopo vira su minacciosi acquazzoni. Dominano la scena i colori neutri, dei paesaggi come dei costumi. Poi, di notte, paradossalmente s’accende qualche tono nei capi di Edith, negli interni definiti della sua dimora, eppure il buio ne diluisce la timida vitalità. V’è del resto, parallela agli scavi, la storia di ogni personaggio e quella che incombe, nel ’39, sul destino di tutti. 

La regia di Stone contempla quella dicotomia dell’esistenza che fornisce indicazioni di protezione dalle bombe e intanto elargisce scampoli di spensieratezza infantile per le strade britanniche. Il lungometraggio accoglie parimenti amore e morte, pacatezza e scompiglio, il tempo che passa e l’urgenza di fissarlo con il potente mezzo della fotografia, cui Stone assegna un ruolo per nulla secondario. Ovunque si ravvisi dolore lì affiora la speranza. 

Nella coralità delle voci, corroborate da un eccellente cast di cui basterebbero Mulligan e Fiennes a comprovare il fulgore, si ricostruisce quel quadro d’insieme che attesta il perdurare del tutto, via via che le sembianze umane sfumano e si accovacciano nei ricordi di chi resta: “facciamo parte di qualcosa che continua, perciò non moriamo davvero”. E sono le parole di Basil ad asciugare le lacrime di una fragile e sfortunata Edith. 

Al fianco dell’uomo e della donna, vicini anagraficamente nella pellicola più di quanto non lo fossero nella realtà, una galleria di personaggi con altrettante esistenze da accomodare, lambendo appena il tema dell’amore, declinato nelle sue plurime e complesse forme. L’occhio di Stone si posa sull’individuo senza alcun intento giudicante, piuttosto con soavità e con un tale riguardo nei confronti dell’intimità di ciascuno da restituire il mondo terso che concepiscono solo i sentimenti veri. E su di essi si adagiano le note struggenti del compositore Stefan Gregory, cui si deve quella colonna sonora che scorta senza interruzione l’intero film. 

Manca qualche affondo, a voler individuare una lieve imperfezione de “La nave sepolta”, nelle anime che si agitano tra cielo e terra. La scelta tuttavia di accarezzarle, senza urtarle, ben si confà alla delicatezza del tocco registico che – pare evidente – condiscende a una sceneggiatura oltremodo lineare. L’azione, del resto, abdica volentieri a una deliziosa inerzia di pensieri e parole atti a spalancare universi. 

Alla dichiarazione dello stato di guerra molti destini si sono già compiuti, altri sembrano aver scovato quanto meno una strada da percorrere. Entrambi sono impressi nelle fotografie che testimoniano di quando la terra, importunata dal sogno, rigurgitò un lontano passato. 

E il presente? Che sia, un giorno, altro passato da disseppellire?

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