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La Vita Accanto (Marco Tullio Giordana, 2024) - Foto di Angelo Turetta - In foto Beatrice Barison, Paolo Pierobon e Sonia Bergamasco

Cinema

La vita accanto, storia di veleni e speranze familiari

Tempo di lettura: 3 minuti

È una Vicenza a cavallo tra gli anni ’80 e il nuovo millennio quella sullo sfondo di La vita accanto, l’ultimo film di Marco Tullio Giordana, ispirato all’omonimo romanzo di Mariapia Veladiano, presentato in anteprima all’ultima edizione del Locarno Film Festival e attualmente nelle sale, distribuito da 01 Distribution.

La pellicola racconta la storia di una ricca famiglia, composta da Maria (Valentina Bellè), dal marito Osvaldo (Paolo Pierobon) e dalla gemella di quest’ultimo, Erminia (Sonia Bergamasco), celeberrima pianista. Dopo anni di tentativi, Maria mette finalmente al mondo Rebecca, ma la neonata presenta una vistosa macchia purpurea che copre metà del viso. Questa difformità diventa per Maria un’ossessione tale da rifiutare l’istinto stesso di madre. L’adolescenza di Rebecca sarebbe segnata dalla vergogna e dall’isolamento, se fin da piccola non rivelasse invece straordinarie doti musicali.

Com’è nata la sfida di questa regia?

Giordana: «È nata da una sceneggiatura che avevano già scritto Marco Bellocchio e Gloria Malatesta, che avevano già dato una struttura alla storia per il film. Ho letto prima quella e poi il romanzo e mi sono piaciuti molto entrambi. Marco mi propose di fare il film, ma non volevo fare un “falso Bellocchio”, volevo dargli una mia impronta. Da qui alcuni elementi che nella sceneggiatura originale erano più importanti sono stati messi in secondo piano e viceversa. Marco è rimasto comunque il produttore del film, ma è sempre stato entusiaste delle aggiunte e delle modifiche suggerite».

Un esempio?

«Nella prima sceneggiatura c’era una scena a Palazzo Monaci in cui erano venivano i trasportatori di pianoforte. Era un continuo sali e scendi di persone, una scena che si sarebbe un po’ persa. Ho pensato che concentrarmi sulla figura dell’accordatore come personaggio per la sua importanza: è grazie a lui che Rebecca a 5 anni si innamora del pianoforte, vede che è uno strumento fatto di meccanismi, come un grande giocattolo. Tonino Rappoggio è un grandissimo accordatore, prediletto da tutti i più grandi pianisti. Siamo diventati subito grandi amici ».

Com’è stato il primo incontro con questa ‘famiglia’ sul set?

Bergamasco: «Non drammatico come nel film. Io non avevo mai lavorato né con Valentina né con Paolo. Abbiamo fatto subito famiglia, in maniera meno rissosa, meno problematica, di quella del film».

Bellé: «Io mi sono innamorata di loro due perdutamente. Ero sul set e pensavo “sono proprio qui, con loro”».

Cosa vi ha colpito di Vicenza, mentre giravate il film?

Pierobon: «A Vicenza c’è tutta una linea palladiana su tutti i viali e anche dov’è il teatro, meraviglioso, dove abbiamo girato la scena del concerto di Sonia. Ha aiutato tantissimo, era un altro personaggio. Alla vista è tutto molto piacevole. E poi a Vicenza si mangia molto bene».

La musica è una delle protagoniste di questo film, che caratterizza e accomuna i vostri personaggi. Avevate già familiarità con il pianoforte?

Bergamasco: «Nel film la musica è una presenza costante, un elemento meraviglioso, ma che per Maria diventa totalizzante e ingombrante, assolutamente insopportabile. Per me la musica è una forma d’espressione familiare, ho studiato pianoforte, e a cui sono molto legata». 

Barison: «Io sono una pianista ma non avevo mai recitato. Come Rebecca, io vivo con la musica. Ci sono cresciuta, quindi ho sentito un forte legame con il mio personaggio. A differenza sua io il pianoforte l’ho scoperto un po’ più tardi, intorno agli 8 anni. Da allora non l’ho più abbandonato».

Ciocca: «Il pianoforte è il mio migliore amico. Insieme ci commuoviamo, ridiamo, respiriamo. Siamo sempre in dialogo, e a volte è mia la responsabilità di farlo respirare nella maniera più fedele e vera possibile. Ed è proprio in questo strumento, e nella musica, che Rebecca trova la salvezza».

La macchia nel film diventa anche la metafora di un qualcosa di brutto, di cui bisogna vergognarsi. Che significato le avete dato?

Bellè: «È una domanda che mi sono fatta anche io. Mi sono chiesta su questa macchia esistesse veramente oppure no, e cosa significasse. Le paure e i pregiudizi degli adulti sono come una macchia per i figli, sui cui vengono proiettate le paure, le insicurezze le fragilità dei più grandi. Fuori dal contesto familiare ci sono molte altre letture che si possono dare a questa macchia, ma credo sia importante anche lasciarle libere di essere interpretate».

Barison: «Ho capito subito che per Rebecca la macchia non era un problema per lei, ma per come la vedessero gli altri. In Lucilla, la sua compagna di scuola, Rebecca scopre che in realtà questa macchia non ha importanza, scoprendo nella sua amica e nella musica una libertà. Ho cercato di restituire questa immagine mentre suonavo».

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