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Cinema d'autore

PASOLINI 2/11/1975 – 2/11/2020: THE SOCIAL DILEMMA.

Tempo di lettura: 4 minuti

Quarantacinque anni senza Pasolini, da quella maledetta notte di violenza che ha privato l’Italia ed il mondo di un artista e soprattutto di uno degli ultimi tra gli intellettuali più lucidi ed autentici.  A poco meno di un anno dalla sua morte Pasolini rileggeva la società, e le sue stesse opere, con nuove lucide convinzioni, con una attenzione al presente ed al futuro chiaro e lungimirante.   Nella trasmissione “Donna Donna” della Rai, del 21 settembre del 1974, chiamato ad intervenire riguardo al ruolo della famiglia contemporanea nella società,  Pasolini risponde all’intervistatrice: ”La tua domanda implica un’infinità di sotto domande, di problemi. Cioè, la repressione, l’oppressione, la mancanza di libertà, il conformismo, l’ipocrisia…sono tutti fatti maturati in seno alla famiglia. Perché la famiglia praticamente non è altro che una piccola difesa un po’ meschina che fa l’uomo per difendersi dal terrore, dalla paura, dalla fame… E’ una specie d’istinto di difesa per cui l’uomo si crea una tana e in questa tana fa quello che vuole: il padre opprime i figli etc etc.

Detto questo la famiglia è anche il covo delle cose più belle dell’umanità. Le due cose sono orrendamente ambigue inestricabili. Cioè tutto ciò che di male ha fatto l’umanità finora e ciò che di bene ha fatto l’umanità nasce sempre da questo rapporto ambiguo che ha il figlio con i genitori, benché schematico ed elementare. E come le note musicali che sono soltanto sette e puoi fare tutto quello che vuoi. Così in questo rapporto del padre col figlio, del figlio con la madre, in questo piccolo triangolo nascono tutte le tragedie, ma anche tutte le possibilità.

Inoltre  è successo qualcosa in questi ultimi dieci anni in Italia, nel mondo in questi ultimi cinquant’anni, cioè siamo passati di un’ Era con la “E” maiuscola, cioè un periodo millenaristico e non semplicemente di secoli e di anni in cui la famiglia era veramente il nucleo di questo mosaico che era la società preindustriale cioè artigianale e contadina, siamo passati a un’altra Era con la “E” maiuscola che è la Era della civiltà tecnologica. In questa nuova Era la famiglia non serve più (…),  al potere non importa niente di educare bene un bambino, gli importa educare il bambino di modo che poi diventi un consumatore: (…) può darsi che la felicità e la gioia del consumo coincidano, che ne so. Adesso parlo del materiale oggettivo, comunque ti dico questo: il potere senza volerlo manovrato da una necessità storica di fronte a cui ne siamo impotenti, fa in modo di avere dei buoni consumatori non dei buoni figli”.

Qualche mese prima, all’inizio dell’estate,  a seguito del referendum sul divorzio, il Corriere della Sera pubblica un suo articolo,  “Gli Italiani non sono più quelli”, nel quale Pasolini pone l’attenzione non tanto sulla vittoria del laicismo, del progresso e della democrazia, ma sul fatto che i ceti medi fossero cambiati e con loro certi valori, intesi fino allora come positivi, sostituiti da altre pulsioni, quali una voglia estrema di uniformarsi, una necessità incontrollabile ed interclassista, che riguardava tutto il popolo italiano, borghesia e popolo, riflesso nell’aspetto fisico, nell’abbigliamento fino ad arrivare ad aver presa sulle coscienze dei giovani: il modello americano aveva cominciato a funzionare, condizionando la vita degli italiani, imponendo prodotti sul mercato e nuove abitudini familiari, aiutato dalla spinta senza precedenti della televisione e delle martellanti pubblicità, strumenti perfetti per imporre l’omologazione, in un periodo in cui gli italiani imparavano a vivere a colori.

Il 15 giugno 1975, Pier Paolo Pasolini va addirittura oltre, scrivendo “L’Abiura della Trilogia della vita” (pubblicata sempre sul Corriere il 9 novembre dopo la sua morte) articolo nel quale rinnega i suoi tre film precedenti: Il Decameron, I racconti di Canterbury ed il fiore delle mille e una notte, dopo che l’uso del corpo e dell’erotismo aveva perso il loro senso e la loro spinta artistica e sociale davanti alla nuova ideologia del conformismo e della tolleranza, capace di svuotare di ogni potere politico la libertà sessuale.

L’opera che ne segue è “Salò o le 120 giornate di Sodoma”, nella quale Pasolini ribalta i concetti precedentemente espressi: adesso sesso e concorsi di bellezza sono allegorica mercificazione dei corpi attuata dal potere, legata indissolubilmente alle violenze ed al dominio, non più voluttuosi atti di piacere fisico e libertà. 

Spingendo il fascismo oltre i suoi confini temporali, Pasolini sottolinea i rischi di un possibile fascismo 2.0 se coadiuvato dalla influenza negativa dei mass media sui giovani, consapevole che il male agisce per vie basse e semplici, come accaduto in ogni epoca storica, ogni volta che il potere decide di trattare l’essere umano come al mercato della carne.

In un sistema attuale, dove i social scandiscono le ore della nostra esistenza, la verità, per come oggi ci è presentata, è nelle mani di chi ha il controllo delle nostre esistenze, decide valore economico e peso, le indirizza, grazie al controllo politico dei mezzi e la diffusione di fake news, manipola il nostro consenso e quello dell’opinione pubblica, decide il nostro grado di soddisfazione e benessere, la nostra felicità o infelicità, impianta pensieri e paure, crea alternative subdole e sensazionali per distogliere l’attenzione dalle cause importanti, riscalda gli animi e li divide, accende scontri, che ricadono come boomerang sulla popolazione mondiale.

Questo è quanto previsto e descritto da Pasolini, in un film che ha superato mille censure, un sequestro con tentativo di riscatto milionario, prima di essere portato alla luce, solo dopo la morte del suo artefice. Un’opera tanto cruda quanto reale, figlia di un pensiero che nell’ultimo anno della sua breve vita l’intellettuale aveva più volte espresso, manifestando preoccupazioni a riguardo, rileggendo attentamente i passaggi e le trasformazioni dell’ultimo mezzo secolo di storia mondiale.

Pasolini usa un periodo storico nefasto per descrivere perfettamente il problema del singolo, della collettività e della violenza psicologica, anche inconsapevole, subita per mano del mostro creato dal sistema capitalistico avanzato che ha le sue migliori armi nella dittatura di un pensiero omologato grazie al controllo delle informazioni, che non ha più interesse ad uccidere l’individuo o il nemico, ma a smembrarlo, spersonalizzarlo, omologarlo appunto, in poche parole mercificarlo, svuotandolo di ogni spirito critico. Tra l’essere e l’avere, alla fine fa vincere l’apparire, dove l’edonismo laico lascia il posto ad un laicismo consumistico esasperato. L’epilogo di questa storia, in chiave pop, lo troverete in un bel docufilm uscito qualche mese fa su Netflix: The Social Dilemma. 

Per quanto mi riguarda, parere assolutamente non richiesto, ma in assoluto accordo con Pasolini, la fuga rimane un atto individuale, una presa di coscienza, una scelta non conforme, un atto da essere pensante, da spirito critico appunto, ma chi lo racconta a Pier Paolo che tempi stiamo vivendo…

Di certo non noi che usiamo le nostre foto per pubblicizzarci, per promuoverci, per proporci in società, anche solo per provare a volerci ancora bene. 

A PPP, grazie di tutto, ci manchi.

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