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PIERO SPILA CI PARLA DEL GATTOPARDO

Tempo di lettura: 6 minuti

Le scene cult, come la recita del rosario, la battaglia tra borbonici e garibaldini, il ballo finale, e gli aneddoti, i retroscena, le vicende meno note. E, soprattutto, l’analisi puntuale e appassionata di un capolavoro assoluto della storia del cinema e degli anni adrenalinici che lo videro nascere e lo sospinsero. Al centro la figura straordinaria e irripetibile di Luchino Visconti. Erano gli anni del boom economico, quelli in cui il cinema italiano, sull’onda del successo internazionale di molti film dell’epoca, punta alla realizzazione di superproduzioni in stile Hollywood. Il Gattopardo di Luchino Visconti, curato da Piero Spila, edito da Gremese nella collana “I migliori film della nostra vita”, è un imperdibile saggio che, grazie alla maestria dell’autore, trascina dentro la storia sfaccettata del film e offre al lettore un avvincete percorso tra cinema e letteratura. Per rivedere ancora e ancora la narrazione filmica di Visconti o ritrovare l’opera di Tomasi di Lampedusa. Il film esce nel 1963, in quel clima di euforia appena detto, e narra di un mondo in decadenza che è fatto storico ma pure e, forse di più, fatto interiore, come bene riesce a sottolineare Visconti. Ne abbiamo parlato con Piero Spila, giornalista e critico cinematografico, autore di monografie su Pier Paolo Pasolini, Jean Marie Straub, Danièlle Huillet, Bernardo Bertolucci.

Come possiamo riassumere, seguendo l’ottima analisi della sua monografia sul film, le peculiarità tecniche e di linguaggio che Visconti ha messo in campo in quest’opera?

Per il suo modo di curare la scenografia, gli arredi e la recitazione degli attori, Luchino Visconti è stato a lungo considerato un regista di teatro prima che un regista di cinema. Alberto Arbasino si divertiva a definirlo “un magnifico arredatore”. Ovviamente non è così, era un grande regista di cinema, l’aveva già dimostrato nei suoi primi film e lo dimostrerà ancora di più ne Il Gattopardo, utilizzando diversi moduli espressivi, dirigendo grandi scene di massa, lavorando sull’enfasi della storia ma anche sulla leggerezza e l’intimità. Nel libro ho sottolineato in particolare alcune sequenze, ad esempio la recita del rosario all’inizio del film o la lettura dei risultati del plebiscito per l’annessione al regno d’Italia, in cui appare evidente tutta la sapienza registica di Visconti.

Più volte Lei sottolinea come Il Gattopardo rappresenti per l’evoluzione artistica di Visconti un momento di passaggio, una tappa “divisiva” tra un prima e un dopo. Quali sono i punti salienti di questo passaggio?

Visconti è giustamente considerato uno dei padri del neorealismo (Ossessione e La terra trema), poi però ha girato un melodramma storico (Senso), un romanzo sociale (Rocco e i suoi fratelli), una commedia sociale (Bellissima). Con Il Gattopardo Visconti inizia ad affrontare un sentimento da lui molto sentito e che diventerà centrale nel suo cinema: la decadenza, ovvero la crisi di un certo ceto sociale (lui era un aristocratico), la fine di un’epoca. In realtà un cenno di questo è già presente in Senso, nel famoso discorso fatto dal tenente austriaco disertore: “Cosa m’importa che i miei compatrioti abbiano vinto oggi una battaglia in un posto chiamato Custoza, quando so che l’Austria fra pochi anni sarà finita e un intero mondo spirerà”. Ecco, Il Gattopardo racconta soprattutto questo, la fine di un mondo con il passaggio di potere dall’aristocrazia alleata con i Borboni alla borghesia siciliana che si allea con i piemontesi. Il protagonista del film, il principe Fabrizio di Salina è l’incarnazione di questo passaggio storico, di questa decadenza. Poi Visconti racconterà Ludovico di Baviera nel film Ludwig, il musicista Aschembach in Morte a Venezia, il professore di Gruppo di famiglia in un interno. Da un certo punto in poi Visconti sembra attratto solo dagli stessi personaggi e dallo stesso tema.

Il film ha avuto costi piuttosto alti, recuperati grazie al successo dell’opera, ma comunque per la produzione sono stati pesanti. Cosa ha fatto lievitare così tanto le spese, fino ad arrivare a 3 miliardi di lire?

Per Visconti era abbastanza abituale far lievitare i costi di produzione, che nel caso de Il Gattopardo raddoppiarono. La causa principale furono soprattutto i tempi di lavorazione che andarono oltre ogni previsione. Le riprese durarono più di sei mesi, tra la Sicilia e una parte del ballo finale girata in un palazzo nobiliare di Ariccia, vicino Roma. Poi ci furono le pretese di Visconti nel far restaurare le ville e i palazzi dove è ambientato il film. In certi casi sarebbe stato più conveniente girare in teatro di posa. Infine, la necessità di dare più azione al film, per accontentare i distributori americani. Ad esempio, venne girata la scena della battaglia di Palermo neppure prevista in sceneggiatura, con centinaia di comparse e la trasformazione di un intero quartiere della città.

Però bisogna anche sfatare la leggenda che sia stato Il Gattopardo la causa del fallimento della Titanus. La colpa di questo semmai va condivisa con un altro kolossal prodotto sempre dalla Titanus nello stesso periodo, Sodoma e Gomorra di Robert Aldrich, un vero infortunio produttivo. Goffredo Lombardo, il titolare della Titanus, ha sempre detto di essere onorato di aver prodotto un capolavoro come Il Gattopardo, che, alla fine, grazie alle lunghe teniture e alle vendite all’estero, era riuscito anche a pareggiare le spese.

Visconti e Lancaster, dopo un’iniziale diffidenza si sono capiti e piaciuti, diventando grandi amici. E Lancaster per entrare nel personaggio, dopo avere a lungo osservato nobili siciliani, si è ispirato proprio a Visconti. Che ne pensa?

Il Gattopardo è uno di quei film che vanno oltre sé stessi, e raccontando i quali ci si trova come dentro un romanzo. È vero, all’inizio, Visconti non voleva assolutamente Burt Lancaster, da lui ritenuto “un cowboy texano”. La scelta di Lancaster era invece caldeggiata dalla Fox, che aveva acquistato i diritti per la distribuzione del film negli Stati Uniti e dunque pretendeva un attore di richiamo. Alla fine Visconti si convinse grazie alla grande abilità diplomatica di Lombardo che fece di tutto per costringere regista ed attore a conoscersi, sicuro che tra loro sarebbe nata una buona intesa. Accadde esattamente così. È vero, Lancaster per impersonare un aristocratico siciliano soggiornò a lungo a Palermo, frequentò i caffè cittadini, si fece invitare alle feste dei nobili, tutto questo per spiare il loro modo di comportarsi, i gesti, la dizione. Poi alla fine si accorse che il vero modello ce lo aveva davanti agli occhi tutti i giorni, sul set, ed era lo stesso Visconti. Tra Visconti e Lancaster nacque una grande amicizia che si protrasse fino alla fine. Anche generosamente da parte di Lancaster, che contribuì in maniera decisiva alla realizzazione del film Gruppo di famiglia in un interno. All’epoca Visconti era gravemente malato e si muoveva su una carrozzina. Lancaster oltre ad accettare la parte di protagonista diede in contratto la sua disponibilità a subentrare nelle riprese nel caso le condizioni del regista si fossero aggravate. Solo a queste condizioni l’assicurazione si ritenne soddisfatta e il film si fece.

Parte della critica, all’uscita del film, ha accusato Visconti di non aver operato, come era invece solito fare, una vera rilettura del romanzo, ma piuttosto di averlo seguito senza distaccarsene. Cosa ne pensa?

Dico che non è vero. Visconti e i suoi sceneggiatori modificarono ampiamente il romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, che ad esempio ha un arco temporale molto più ampio del film. Dopo la morte del principe il romanzo racconta la vita infelice delle figlie, la decadenza della famiglia. Il film di Visconti si svolge invece nell’arco di soli due anni, inizia nel 1860 con lo sbarco in Sicilia dei garibaldini, e termina nel 1862, con la scena del ballo, all’indomani dei fatti di Aspromonte, dove l’esercito piemontese ha sparato addosso a Garibaldi. Altri cambiamenti riguardano ovviamente lo stile del racconto. Il romanzo è pieno di monologhi interiori del principe, che Visconti risolve in maniera spettacolare e in puro stile cinematografico. Si pensi solo alla grande scema del ballo finale, un vero film nel film (dura 46 minuti su 186 minuti totali). È una scena di puro movimento, con pochissimo dialogo, dove tutto è realizzato visivamente e si racconta magnificamente ciò che è accaduto e ciò che sta per accadere.

Il film ebbe successo in tutta Europa, mentre negli Stati Uniti subì molti tagli e non venne accolto bene da pubblico e critica. Bisognerà attendere 20 anni e una riproposta dell’opera in maniera integrale per ribaltare l’insuccesso iniziale. Come è accaduto? Quali errori sono stati fatti?

L’insuccesso de Il Gattopardo ci fu solo negli Stati Uniti. In tutto il resto del mondo il film venne accolto con grande favore. Al Festival di Cannes vinse la Palma d’Oro, in Italia è stato a lungo in testa alla classifica dei maggiori incassi, in Francia ha ricevuto critiche lusinghiere dalle più prestigiose riviste di cinema. Negli Stati uniti, invece, il film non fu capito, a parte il fatto che per le esigenze distributive americane era considerato troppo lungo,

La Fox lo giudicò troppo ideologico e anche oscuro, del Risorgimento italiano gli americani non sapevano nulla e non ne volevano sapere. Dunque Il film fu tagliato drasticamente, doppiato malamente in inglese, e nella promozione presentato come una specie di western italiano. Il pubblico lo rifiutò. Visconti considerò tutto questo come un affronto personale. Solo anni dopo il film venne reintegrato nella misura originaria e nuovamente programmato negli Usa. Ma troppo tempo era ormai passato e Visconti purtroppo non ne ebbe soddisfazione.

Laureata in Scienze Politiche, giornalista pubblicista, si occupa di comunicazione culturale e sociale. Collabora con le redazioni di testate giornalistiche, televisive e case editrici. Organizza e conduce eventi culturali. Cura il blog "Connessioni" e il blog collettivo "Apostrofi a Sud".

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