“Cosa ne avrebbe pensato Pasolini?”.
È questa la domanda che chiunque abbia incrociato il pensiero dell’autore degli “Scritti corsari” e delle “Lettere luterane” continua a porsi di fronte di fronte ai grandi temi del nostro tempo.
Il crollo del Comunismo e la definitiva affermazione globale del capitalismo, la finanza creativa, internet e la società dell’informazione, i social network e gli influencer, i troll e le fake news, la globalizzazione e l’immigrazione, l’ISIS e il terrorismo islamico, il politicamente corretto e la schwa, la pandemia e il lockdown, l’invasione russa dell’Ucraina. Cosa ne avrebbe pensato Pasolini?
Sono trascorsi 100 anni dalla sua nascita, 47 dalla sua morte. Il mondo è cambiato radicalmente più volte da quel tragico 2 novembre del 1975. Eppure, a distanza di quasi mezzo secolo, è ancora il suo nome a essere invocato ogni qualvolta si pensi a un riferimento per leggere e spiegare la realtà.
Pasolini è stato l’ultimo grande intellettuale italiano, l’ultimo esponente di una cultura umanista capace di interpretare il proprio tempo con uno sguardo lucido, trasversale e organico, e di renderlo intellegibile agli altri.
Nessuno ha preso il suo posto, né forse potrebbe essere altrimenti. “Cosa ne avrebbe pensato Pasolini?” denuncia implicitamente il vuoto di una società sempre più tecnologica e vacuamente scientista, settorializzata, iperspecializzata, incapace di correlare i saperi e per questo, in fondo, miope.
Oggi Pasolini è icona pop. Il suo volto stilizzato è divenuto iconico, adatto a essere stampato sulle magliette al posto del Che, perfetto per uno stencil sui muri dei quartieri radical chic delle grandi città italiane; il suo nome ridotto a sigla, brandizzato in ppp, alla stregua di CR7 e di tanti altri simili nickname/brand.
Mercificato da quel sistema capitalistico che Pasolini aveva ferocemente avversato, trasformato in santino laico, innocuo profeta.
Ma Pasolini è irriducibile.
I 33 processi, tanti quanti gli anni di Cristo, che dovette subire in vita stanno lì a ricordare la strenua battaglia col suo tempo, la forza destabilizzante del suo pensiero, il suo isolamento politico e civile, l’amore contraddittorio e sofferto, pagato in prima persona, per il mondo intero.
La febbrile e titanica attività intellettuale articolata in poesie, saggi, romanzi, film, conferenze; la gentilezza della sua voce e la ferocia delle sue analisi, la spietata sincerità con amici e nemici, il naturale anticonformismo, la candida provocatorietà delle sue proposte (quando il termine “provocazione” alludeva ad aspetti artistici e culturali e non alla disperata e patetica ricerca di visibilità dei morti di fama) rendono Pier Paolo Pasolini ontologicamente inadatto alla celebrazione formale che si usa in queste occasioni.
E allora ben vengano le manifestazioni per i 100 anni dalla nascita di Pier Paolo Pasolini.
Ma siano scomode, disturbanti, urticanti e sincerecome le sue parole, che ancora bruciano nella nostra coscienza civile.
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