Sedevo comodamente su una delle sessantaquattro poltroncine rosse, attendevo il buio e intanto mi guardavo attorno. Una situazione che fino a pochi mesi fa avrei definito usuale e alla quale, ieri, ho avuto come l’impressione d’essere invece disavvezza. Un miscuglio di sensazioni contrastanti e su tutte una: quella di aver ripreso a respirare teatro. L’assenza è del resto ossigeno che viene meno, quando meno te l’aspetti. Così io indossavo la mascherina e, dopo mesi, respiravo nuovamente teatro come non avevo mai fatto prima.
In scena, nell’incantevole Teatro Prima di Villa San Giovanni, una prova senza interruzioni di “Preferisco il rumore del mare”, in vista del debutto, il 17 ottobre a Rende (CS) nell’ambito dell’iniziativa “Otto Monologhi” che la compagnia Rossosimona, fondata da Lindo Nudo, ha promosso, in collaborazione con Palacultura Lab e Creativa, per offrire un’opportunità di lavoro ad attori e attrici professionisti residenti in Calabria.
Occorreva ripartire e il Teatro Primo ha scelto una ripartenza tanto delicata, nei quindici minuti previsti dal bando, quanto significativa alla luce dell’emergenza sanitaria che vorrebbe ci si astenesse dal produrre, dal programmare, finanche dal concepire l’arte come attività ineludibile dell’esistenza.
In scena Silvana Luppino, alla regia Christian Maria Parisi, drammaturgia di Domenico Loddo. Un trio artistico già rodato e che, da qualche anno, porta in giro per l’Italia lo spettacolo “Dora in avanti”, riscuotendo consensi di pubblico e critica.
“Preferisco il rumore del mare” condensa in un lasso di tempo ristretto il dramma esistenziale di una donna in cerca di quel posto nel mondo cui tutti aspiriamo, facilitati o meno dal caso, dalle cose, dalle case dentro le quali siamo cresciuti. Il nome di una musa e il cognome di un poeta, l’eccentricità che sa diventare talento, il ghiribizzo di quei personaggi che sembrano venuti fuori da un fumetto, che si esprimono per onomatopee, che esasperano e che però avvincono.
Dentro a un ufficio di collocamento è necessario esser posati. Deviare dalla norma della compostezza attira gli sguardi sdegnosi degli astanti. Tant’è che personaggio e attrice si divertono, insieme, a prendere a spallate la quarta parete: il pubblico può o non può intervenire? La regia non fornisce indicazioni, concentrata com’è sulla regimazione del fiume di parole che deve fluire sì, ma dentro gli argini del palcoscenico sul quale si compie, lietamente se vogliamo, un brandello di personale destino.
La scrittura di Loddo è gagliarda, audace. Riscuote la vita a ogni angolo di strada, in una canzone, nei versi di Dino Campana. Poi la sparpaglia, seguendo l’unico filo conduttore possibile: l’umanità. Ché tutto quel che accade fuori e dentro il teatro è spropositatamente umano: da una risata a una lacrima, da una poesia scopiazzata all’effigie meno adulterata, quella del dolore.
“Preferisco il rumore del mare” diventa così la fotografia a colori di un istante che è frutto dei mille ieri ai quali Silvana Luppino ha saputo dare forma, abilmente prestando corpo e voce, addirittura azzerando le distanze e i silenzi di un mondo che sembrerebbe precluderci la possibilità d’essere o, a guardare il bicchiere mezzo pieno, d’essere semplicemente ciò che siamo.