«Siamo in una commedia degli equivoci e degli inganni e qui le guerre paiono un’ipotesi fantastica e i militari sembrano boyscout che giocano alla guerra. È una storia ambientata in un mondo militare, e nell’aria aleggia una guerra che però non si vede mai. Per questo ci siamo reinventati un mondo contemporaneo in cui è possibile rendere credibile qualsiasi cosa». Così Leo Muscato descrive il suo allestimento del Miles Gloriosus, commedia di Plauto, in scena al Teatro Greco di Siracusa dal 13 al 29 giugno.
Dopo il Prometeo nel 2023 si confronta con il Miles Gloriosus di Plauto. È la prima volta che affronta quest’opera teatrale?
«Sì, in realtà è la prima volta che affronto un testo di Plauto. È una bella gatta da pelare, una sfida che arriva dopo l’esperienza meravigliosa del Prometeo dell’anno scorso. Si tratta di una commedia dell’antichità, sia greca che latina, che ha un’evidente intenzione di far ridere ma che paradossalmente è molto attuale per i tremi che tratta».
Passiamo da una tragedia a una commedia. Come cambia il modo di approcciare al testo a seconda del genere?
«La mia idea di teatro è quella di restituire il testo dell’opera al pubblico contemporaneo, tenendo conto che si tratta di due tipi di platee completamente diverse. Il Miles Gloriosus deriva da un antico testo greco, riscritto successivamente in latino. Quello che cerco di fare, sia nella commedia che nella tragedia, è cercare di individuare l’archetipo nascosto dentro al testo e di restituirlo allo spettatore, tenendo sempre a mente come la cultura e le persone si siano evolute in tutti questi anni. E soprattutto tenendo sempre a mente due cose: cosa devo raccontare e perché».
In che direzione si è evoluta la tragedia teatrale?
«L’idea che noi abbiamo di tragedia è evidentemente diversa da quella che avevano gli antichi greci 2000 anni fa. Nell’antichità, quando la società si trovava ad affrontare un problema, quello diventata argomento di discussione in teatro. Da lì nasceva il dibattito pubblico. Il punto è conciliare quest’anima del teatro, tenendo conto del fatto che oggi la tragedia è anche intrattenimento e quindi assolve funzioni molto diverse da quelle di allora».
Come avete pensato quindi la regia ambientata nel nostro tempo?
«Ci siamo inventanti un mondo, seguendo quello di Plauto, una realtà di pura follia dov’è possibile far accadere all’interno qualsiasi cosa. Ci sono dei soldati, in capo a tutti questo “soldato fanfarone”, che è l’archetipo dello stolto e vanaglorioso che vuole sempre dimostrare di essere il migliore. Qualità che si attribuisce ma che non ha. Nella nostra versione gli conferiamo un potere decisionale di vita e di morte sulle persone, che sono costrette ad assecondarlo. Tutto è trattato con estrema leggerezza e ironia, che rende tutto più divertente, senza pesantezza. Le attrici in scena sono vestite con tute mimetiche tutte colorate, così come le tende militari».
Particolarità di questa messa in scena è la presenza di un cast tutto al femminile. Come mai questa scelta?
«È stato un rovesciamento della medaglia. Tutta la commedia latina e il teatro greco, fino a Shakespeare, è sempre stata interpretata da uomini. Il testo di Plauto è un testo che porta alla nostra attenzione un tema attuale, quella della questione di genere. Mi sono chiesto: cosa succederebbe se rovesciassi la medaglia? Il risultato è che le battute dei personaggi, così misogine e patriarcali, pronunciate dalle donne, con molto più sarcasmo e ironia, paradossalmente risuonano ancora più forti».