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Storie di Resilienza

Il mondo della cultura olandese affila le unghie

Tempo di lettura: 2 minuti

L’originale protesta del mondo della cultura olandese
ha avuto in questi giorni un grandissimo risalto
su tutti i media nazionali e internazionali.

Per protestare contro le misure anti-covid adottate dal governo olandese, che consentono l’apertura di parrucchieri, centri estetici e palestre ma non quella di musei, teatri e sale da concerto, alcune istituzioni culturali hanno temporaneamente trasformato i propri spazi in saloni di bellezza e centri fitness.

Nella storia

È il caso del Museo Van Gogh di Amsterdam, dove la direttrice Emile Gordenker ha autorizzato due estetiste a smaltare le unghie dei clienti nelle sale dedicate all’esposizione dei capolavori del Maestro olandese; della Sala da concerto di Amsterdam, il Concertgebouw, dove l’orchestra ha eseguito la sinfonia n. 2 di Charles Ives mentre sul palco due parrucchieri vestiti di nero eseguivano un taglio di capelli “classico”; del Limburgs Museum, che ha trasformato in suoi spazi in una palestra di zumba, e di molte altre istituzioni cultuali olandesi.

Il messaggio è evidente, quasi tautologico, ma espresso attraverso un codice artistico che lo rende al tempo stesso straniante e di grande impatto emotivo.

L’impronta concettuale della protesta, infatti, non è dissimile, nella sua matrice, dall’esporre in uno spazio dedicato all’arte un orinatoio, come fece Marcel Duchamp nel 1917 trasformando l’opera artistica da manufatto fisico a fatto intellettuale. Eppure, la protesta, pur ricorrendo a un linguaggio artistico acquisito, ha colpito particolarmente l’immaginario pubblico, probabilmente legato a una concezione sacrale degli spazi dedicati alla cultura, salvo poi relegarli in una dimensione separata e “altra” rispetto alla vita vera, dove una buona manicure appare più utile dell’osservare un quadro.

Dietro il clamore

Al di là della contraddizione insita nel reputare palestre e centri estetici più sicuri di musei e teatri, è la concezione implicita in un simile provvedimento a imporre una riflessione sui valori che informano la nostra società.

La pandemia ha imposto e ricordato la priorità della salute. Ma la salute non è solo un fatto biomedico, è anche uno stato di benessere fisico e spirituale affine al concetto di “salvezza”, come ricorda l’etimologia latina del termine.

Se la cura del corpo pertiene alla medicina, il nostro benessere non dipende soltanto dallo stato fisico. La cultura e l’arte sono espressioni del pensiero simbolico, che in definitiva è ciò che ci distingue dagli animali e ci rende umani.

Ma dietro il clamore suscitato dall’iniziativa di protesta della cultura olandese è possibile intravedere un’altra chiave di lettura.

Troppo spesso la cultura e l’arte hanno rinunciato ad esercitare un ruolo attivo e dinamico nella società, arroccandosi nel solipsismo accademico, in linguaggi espressivi inintelligibili al di fuori degli ambienti artistici, in iniziative prive di vera ambizione e attrattività per i non addetti ai lavori.

Un dialogo reale

È necessario che la cultura esca dall’elitarismo delle torri d’avorio e ripristini un dialogo reale con la società, che, da par suo, ha mostrato ricettività, se adeguatamente coinvolta.

Questo non significa dover banalizzare i linguaggi dell’arte e della cultura per inseguire i gusti del pubblico. Vuol dire però essere disposti ad aprire un canale di comunicazione che al pubblico si rivolga, e non solo agli specialisti, per avvicinarlo e formarlo a un’espressione altra dalla quotidianità, ma non separata dalla realtà.

Se la cultura comunica, la società può rispondere.

Scritto da

Direttrice editoriale. Musicologa, project manager, consulente editoriale per Istituzioni culturali.

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