Aspettando con trepidazione la riapertura delle sale cinema, possiamo sfruttare il tempo libero per recuperare alcuni vecchi capolavori della settima arte. Attraverso l’anniversario della loro uscita al cinema, proverò a consigliare alcune – personalissime – pietre miliari del cinema.
Il 14 novembre del 1976 debuttò nei cinema di New York e Los Angeles uno dei molteplici capolavori di uno dei più importanti e sottovalutati registi statunitensi: Quinto Potere di Sydney Lumet.
Quinto Potere (titolo originale Network) è un film del 1976 diretto da Sydney Lumet e scritto da Paddy Chayefsky. Satira graffiante e drammatica sul sistema televisivo americano degli anni ’70, la pellicola racconta la deriva dell’informazione, prostrata unicamente all’indice di gradimento e agli ascolti.
Lumet dirige un cast stellare: un folle Peter Finch nel suo ultimo film, William Holden sulla scia del ritrovato successo, una incredibile Faye Dunaway, Robert Duvall nel ruolo del cinico Frank Hackett e Ned Beatty, che si è aggiudicato una nomination all’Oscar apparendo in una singola scena.
«IL POPOLO AMERICANO VUOLE ASSOLUTAMENTE QUALCUNO CHE ESTERNI LA SUA RABBIA»
Howard Beale (Peter Finch) è un anchorman in declino del notiziario della fittizia Union Broadcasting Systems (UBS). Ormai prossimo al licenziamento a causa dei bassi ascolti, Howard nel corso della sua penultima trasmissione annuncia che si suiciderà in diretta televisiva la settimana prossima. Dopo l’enorme polverone suscitato dalla sua trasmissione, Beale viene licenziato. Il suo migliore amico e direttore del servizio notizie Max Schumacher (William Holden) gli concede un’ultima apparizione per chiudere la sua carriera con dignità. In un momento epifanico Howard capisce di essere il prescelto per dire la verità alla gente, in quanto lui parla alla televisione. Impazzito, si lancia in diretta televisiva in una delirante invettiva, incitando la popolazione ad affacciarsi alla finestra e urlare «SONO INCAZZATO NERO E TUTTO QUESTO NON LO ACCETTERÒ PIÙ!»
L’evento fa crescere in modo esponenziale gli ascolti al punto che Howard diventa bersaglio della giovane direttrice del dipartimento programmazione della UBS Diana Christensen (Faye Dunaway) e del CEO della CCA – corporazione che detiene la UBS – Frank Hackett (Robert Duvall). Howard Beale diventa così il “pazzo profeta dell’etere”, un rivoluzionario che urla al popolo la verità, in uno show dal successo strepitoso. L’unico che si oppone allo sfruttamento del suo amico è Max Schumacher, che viene per questo licenziato.
Senza più un lavoro e in crisi di mezza età, Max inizia una relazione extraconiugale con la giovane Diana pur sapendo che ciò distruggerà la sua serenità familiare. Diana, per quanto interessata all’uomo, non riesce a non coinvolgere la sua vita lavorativa con quella privata: persino durante i suoi – rapidissimi – amplessi la donna parla di ascolti, programmi o indice di gradimento. Max, travolto dal suo sentimento amoroso, non riesce a mentire alla moglie Louise (Beatrice Straight) dalla quale si separa tristemente, immaginando allo stesso tempo come si evolverà la sua storia d’amore con Diana.
Howard Beale, all’apice del successo, si scaglia contro un accordo commerciale miliardario tra la CCA e degli investitori arabi, chiedendo al popolo di fermarlo e scatenando un putiferio tra i piani alti della corporazione. La situazione è grave al punto che Beale viene convocato da Arthur Jensen (Ned Beatty), presidente della CCA. Nel “Paradiso degli eroi” – la sala riunioni degli amministratori della CCA – Jensen si lancia in un messianico monologo sul capitalismo, sul sistema di sistemi e sull’unico, vero, dominio dei soldi sui popoli. Il discorso si chiude sulla necessita di rendere Howard Beale il profeta del messaggio di Jensen al mondo, non più sulle contraddizioni della società ma sulla fine delle ideologie, in nome di quella enorme corporazione finanziaria chiamata mondo.
Dopo sei mesi, il rapporto tra Max e Diana è irrimediabilmente compromesso a causa incapacità della donna di sviluppare un sentimento d’amore sincero, l’ultimo appiglio per Max a cui aggrapparsi per sfuggire ai suoi “dubbi primordiali” e alle angosce di una vecchiaia imminente. Il loro confronto finale è toccante, mentre l’uomo fa le valige per tornare dalla sua famiglia, Diana mostra per la prima volta delle crepe nella sua psiche, dando segni di insicurezza e, a suo modo, umanità. Max capisce di essere per Diana il suo ultimo contatto con la realtà umana, lei è l’incarnazione della televisione, insensibile alla gioia e indifferente alla sofferenza. Poi, come aveva immaginato mesi prima, mette fine alla loro relazione.
Il cambio di rotta dell’Howard Beale Show non trova il successo del pubblico, che lo giudica troppo fiacco e conformista. I vertici della UBS decidono, visto il rifiuto inflessibile di Jensen all’eliminazione dello show, di far ammazzare Howard Beale. Il “pazzo profeta dell’etere” viene così ucciso all’inizio del suo programma. Il film si conclude con una voce narrante che definisce Howard Beale «IL PRIMO CASO CONOSCIUTO DI UN UOMO CHE FU UCCISO PERCHÉ AVEVA UN BASSO INDICE D’ASCOLTI».
«GLI ARABI HANNO DECISO DI AUMENTARE IL PREZZO DEL PETROLIO DI UN ALTRO 20%, LA CIA È STATA DENUNCIADA DA UN SENATORE A CUI APRIVA LA POSTA, C’È UNA GUERRA CIVILE IN ANGOLA E UN’ALTRA A BEIRUT, IL COMUNE DI NEW YORK RISCHIA ANCORA IL FALLIMENTO, HANNO FINALMENTE ARRESTATO PATRICIA HEARST E TUTTA LA PRIMA PAGINA DEL DAILY NEWS È HOWARD BEALE»
Ambientato nel 1976, con Quinto Potere Lumet e Chayefsky pongono l’attenzione su un’America debole, che usciva dalla controcultura, dallo scandalo Watergate, dal disastro del Vietnam e dalla crisi del petrolio del ’73. Un’America povera, violenta e senza certezze, arrabbiata. E la televisione è il principale protagonista della dissacrazione satirica del regista: un’illusione continua, rifugio dalle ansie della vita quotidiana e dai problemi del mondo e surrogato della realtà. Howard Beale diventa il simbolo del paese ormai folle, dubbioso e “incazzato nero”, in grado di incanalare la rabbia del popolo per poterla esternare allo stesso popolo tramite la televisione. Il profeta di una società che considera il tubo catodico la nuova Bibbia. Attraverso la veemenza dello show di Beale, Quinto Potere mostra gli effetti di una televisione in grado di manipolare le masse e di condizionare l’opinione pubblica. Ogni evento viene spettacolarizzato in TV, dalle rapine in banca del fantomatico Esercito di Liberazione Ecumenico, agli accordi economici tra corporazioni, alla stessa uccisione del protagonista.
Se Howard Beale è il profeta della società, i personaggi di Faye Dunaway e Robert Duvall sono le eminenze grigie, il buco nero dell’infotainment, che pur di ottenere profitto e far salire gli ascolti creano dei programmi che abbiano come protagonisti dei terroristi. Biechi macchinari disinteressati a tutto ciò che non sia audience, persino a coloro che contribuiscono alla crescita degli ascolti, come Howard Beale. Emblematica è la riunione di Diana con ideologici membri del Partito Comunista, fanatici guerriglieri marxisti, rapinatori di banche e legali dei network che discutono di diritti, proventi e ascolti di un eventuale programma televisivo. Tutto ciò con cui Diana entra in contatto perde la sua moralità: Howard Beale da anchorman rispettabile seppur in declino diventa un buffone con altissimi indici di gradimento; i guerriglieri marxisti diventano dei killer per conto di capitalisti che temono un calo dei profitti; l’ideologica esponente del Partito Comunista, inizialmente interessata a diffondere il suo messaggio politico, si preoccupa unicamente che il suo programma non sia preceduto dal fallimentare Howard Beale Show; Max Schumacher, dopo 25 anni di matrimonio, abbandona la moglie per diventare uno sfogo di Diana, senza ricevere alcun tipo di amore.
E in questo marasma di personaggi fuori dalle righe è proprio Max a risultare l’unico personaggio reale del film, spaventato dalla realtà della imminente vecchiaia, preoccupato per la sorte dei suoi amici, intimorito dalla carenza di amore, triste al pensiero di far soffrire la famiglia. Un uomo con dei sentimenti veri, e quindi incompatibile con Diana, una donna che vive nella falsa realtà della televisione, e che verrà per questo abbandonata dall’unica persona che la ama.
Oltre a dei personaggi spaventosamente realistici nella loro assurdità, i dialoghi sono il motivo per cui è impossibile non amare questo film. Recitati in maniera ineccepibile da un cast pluripremiato – cinque nomination agli Oscar, di cui tre vittorie, scalzando i protagonisti di film del calibro di Taxi Driver, Carrie, Tutti gli uomini del presidente, Pasqualino Settebellezze e Rocky – i dialoghi sono una miscela di grottesco ed emotivo, in una continua alternanza di toccante e assurdo, uno più bello ed emozionante del precedente. Sopra a tutti si elevano i monologhi di Finch e Beatty che risultano, seppur nella loro lucidissima follia, incredibilmente attuali ancora oggi, dopo 44 anni: il marchio di fabbrica di un film che non invecchierà mai.
Alla sua uscita Quinto Potere si rivelò un enorme successo di critica e pubblico. Girato con un budget di poco inferiore ai 4 milioni di dollari, l’incasso al botteghino fu di circa 24 milioni di dollari nei soli Stati Uniti, ponendolo al diciannovesimo posto nella classifica degli incassi del 1976.