Sono sei i nuovi allestimenti firmati da Pier Luigi Pizzi che quest’anno compongono il cartellone del Festival pucciniano, di cui il regista milanese cura anche la direzione artistica, in occasione di due importanti anniversari: il centenario della morte di Giacomo Puccini (avvenuta il 29 novembre 1924) e la 70esima edizione del Festival a lui dedicato a Torre del Lago.
Com’è stato il suo primo incontro con Puccini?
Fu con la Madama Butterfly, al Carlo Felice di Genova, insieme al regista Franco Enriquez. Parliamo di molto tempo fa, ero all’inizio della mia carriera di scenografo.
A quel tempo non ero molto attratto dall’universo di Puccini, lo trovavo molto esplicito e poco fantasioso. La sua poeticità l’ho scoperta più tardi, quando mi sono approcciato alle sue opere con un altro sguardo e un altro impegno.
Un esempio?
Ho avuto un incontro più felice con una delle opere che più mi interessavano di Puccini, sulla quale potevo esercitare la mia immaginazione: la Turandot messa in scena all’Arena di Verona, nel 1969. Fu un’esperienza molto più interessante e coinvolgente per me rispetto a tutte quelle precedenti. Tra l’altro, quella messa in scena fu anche il debutto di Placido Domingo in Italia, nel ruolo di Calaf.
Da lì si è appassionato a Puccini?
Un passaggio chiave fu quando arrivai alla direzione artistica del Macerata Opera Festival, nel 2006. Lì cominciai a confrontarmi con Puccini come regista. Delle tre opere in programma quell’anno, dovetti confrontarmi all’ultimo minuto con la messa in scena di Turandot. Così ho scoperto un nuovo Puccini, un poeta che va ben oltre il dato veristico e sinfonico. Mi sono ricreduto dei miei pregiudizi e da quel momento per me è diventato un compositore di grandissima ispirazione.
Com’è arrivata la nomina a direttore artistico del Festival di Torre del Lago?
Lo scorso anno mi trovavo proprio qui a Torre del Lago con una nuova produzione della Madama Butterfly di Puccini. Una grandissima platea che si affaccia sul lago Massaciuccoli, uno dei luoghi dove Puccini ha vissuto e ha composto la maggior parte delle sue opere.
Dopo il successo di Madama Butterfly, mi è stato offerta la direzione artistica di questa speciale edizione del centenario della morte di Giacomo Puccini, che coincide con la 70° edizione del Festival. Una sfida che ho affrontato con grande piacere e con un forte impegno: quello di elaborare un progetto unico che potesse raccontare lo sviluppo del percorso creativo di Puccini attraverso alcuni dei suoi titoli.
Come si articola questo progetto?
Insieme a Massimo Gasparon abbiamo ideato un dispositivo unico che ci permettesse di affrontare tutti i problemi di regia e di adattamento delle opere in programma, mantenendo comunque la possibilità di inserire ognuno degli elementi caratterizzanti della messa in scena di ciascun’opera.
Abbiamo cominciato con Le Willis, la prima opera lirica di Puccini, dove possiamo rintracciare molto del sinfonismo che ha caratterizzato la prima parte del suo lavoro. A questa abbiamo affiancato il suo secondo titolo operistico: Edgar, che abbiamo riproposto recuperando dall’edizione originale alcune parti particolarmente significative del quarto atto, tagliato dallo stesso Puccini.
E poi ancora troviamo Manon Lescaut, Bohème e Tosca, per concludere con la Turandot nella versione “incompiuta”, ovvero l’opera che Puccini ci ha consegnato fino a dove ha potuto completare la partitura. Un omaggio doveroso per celebrare questo centenario.
A distanza di tutti questi anni, in cosa possiamo individuare l’eredità di Puccini?
Credo che la sua grandezza sia nella straordinaria attualità delle sue opere. Puccini ci ha consegnato dei personaggi universali, nei quali ci possiamo riconoscere in qualsiasi momento, slegati da un’idea di storicità.