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69° Festival Puccini (Luglio / Agosto 2023) - foto e diritti di proprietà della Fondazione Festival Pucciniano Torre del Lago

Festival, Opera

Direttore o regista? La Boheme del Festival Puccini riaccende le polemiche sui “nuovi” allestimenti

Tempo di lettura: 3 minuti

La diatriba era iniziata già da qualche giorno quando, presentando il cartellone del Festival Puccini di Torre del Lago, il sottosegretario alla cultura Vittorio Sgarbi aveva tuonato: “Farò di tutto per impedire che venga rappresentata una Bohème ambientata nel 1968”. Sgarbi fa riferimento a quella con la regìa del francese Christophe Gayral e la direzione di Alberto Veronesi. Proprio al maestro è dedicato un successivo comunicato dove il critico d’arte si augura che “Alberto Veronesi abbia la forza e l’orgoglio di non dirigere l’orchestra. Il suo gesto non può essere interpretato come politico ma di rispetto per l’arte e la memoria di Puccini”. 

Appelli vani perché venerdì sera quella Bohème è andata in scena regolarmente. Le polemiche si sarebbero smorzate con i primi suoni dell’orchestra se non fosse che il direttore si è presentato sul podio con gli occhi coperti da una benda nera (alcune foto mostrano qualche pertugio). Una scelta a dir poco provocatoria che ha interdetto gli astanti. Un coupe de theatre giustificato dalle parole dello stesso protagonista: “Non voglio vedere queste scene”. Così ha diretto l’opera contestato dal pubblico che inveiva definendolo “scemo”, “buffone” e invitandolo ad andare via. 

Subito pronti i due partiti in gara: a favore del maestro versus contro il maestro. Proviamo a fare ordine parlando con Enrico Stinchelli voce storica de “La barcaccia” su Rai Radio 3 ma anche regista e grande esperto di opera. “Il Maestro Veronesi, fantasioso e imprevedibile, non è nuovo a simili gesti – dice Stinchelli – nel 2016 interruppe la Tosca per protestare contro il commissariamento di Viareggio… anche lì tra le urla e gli improperi del pubblico. Fa parte del carattere del personaggio e non escluderei la volontà precisa di creare scandalo, per attrarre l’attenzione mediatica sul Festival Puccini. Come insegna il motto evangelico: «oportet ut scandala eveniant» (è necessario che avvengano gli scandali ndr)”.

Qualcosa in questa storia però non convince. Veronesi avrebbe dovuto avere (come minimo) le coordinate dello spettacolo essendo una nuova produzione creata proprio per il Festival pucciniano. Un lavoro iniziato sicuramente molto tempo prima e non ieri sera che in qualche modo avrebbe coinvolto lo stesso musicista. Da sempre direttore e regista devono raggiungere un accordo previo che favorisca il sereno svolgimento di tutta la produzione. “Come minimo avrebbero dovuto trovare un’intesa – rincara Stinchelli – ma in realtà vi è sempre una malcelata (o a volte plateale) competizione tra registi e direttori d’orchestra: se lo spettacolo fa schifo ne trae vantaggio la parte musicale e viceversa. Tutto questo consci del fatto che lo spettacolo operistico è un castello di carte: persino la più umile delle pedine in gioco può mandare all’aria tutto. Regìa e direzione lavorano in perfetta sinergia, è abbastanza ipocrita separare la parte musicale dall’aspetto visivo: la politica dello struzzo”. 

Quanto successo a Torre del Lago ricorda (mutatis mutandis) la polemica tra Leonard Bernstein e Glenn Gould. È il 1962 e siamo alla Filarmonica di New York. Pochi minuti prima del concerto Bernstein si rivolge al pubblico: “Cari amici della Filarmonica, oggi ci troviamo di fronte ad una curiosa situazione, che a mio avviso merita una spiegazione. Tra poco ascolterete un’interpretazione, diciamo, non fedele del Concerto in re minore di Brahms. Un’interpretazione diversa da tutte quelle che fino ad oggi ho potuto ascoltare e comunque da tutto quel che avevo potuto immaginare: diversa per i suoi «tempi» eccezionalmente trattenuti e per le sue frequenti deroghe alle indicazioni dinamiche dello stesso Brahms. Non posso dire di essere del tutto d’accordo con la concezione di Gould, ed ecco quindi che si pone l’interessante domanda: perché in questo caso e malgrado tutto ho accettato di dirigere questo concerto? [risate del pubblico] Se l’ho fatto è perché Gould è un artista tanto qualificato e tanto serio che mi sembra indispensabile considerare tutto quel che ha pensato in buona fede. In questo caso la sua versione è così interessante da suggerirmi la sensazione che sarebbe bene che anche voi la conosciate”. Quanto successo con Bohème non è solo una divergenza di vedute, una non corretta pianificazione di tutta la produzione, ma una mancanza di stima reciproca tra Alberto Veronesi e il regista Christophe Gayral; stima che avrebbe permesso (probabilmente) un venirsi incontro e un’immedesimazione vicendevole nel modo di vedere il melodramma. Poi forse esistono dei limiti che la rilettura di un’opera non dovrebbe mai superare? “Dal punto di vista visivo, cioè allestimento e regìa, non vi sono limiti se non quelli, estremamente labili e discutibili, del cosiddetto «buon gusto» – continua Stinchelli – Flaubert diceva che «le cose semplici sono sempre di buon gusto» ma in teatro i registi amano complicarsi la vita e spesso complicarla agli altri. La cosa buffa è che da almeno mezzo secolo le «riletture» si sono inventate di tutto: oggi sarebbe rivoluzionario allestire una Bohème seguendo le indicazioni del libretto e le didascalie”.

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