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Un giallo all’italiana, Dario Argento fedele al suo cinema

Tempo di lettura: 4 minuti

A 81 anni, il padre dell’horror e del thriller all’italiana torna alla regia nel solco irrinunciabile della tradizione inaugurata nel 1970 con “L’uccello dalle piume di cristallo”. Erano quelli i tempi degli assassini in impermeabile scuro, cappello e guanti; i tempi delle soggettive tanto care a Mario Bava, dei sospiri e dell’efferatezza del crimine.

Una pausa durata dieci lunghi anni

La pellicola più recente di Dario Argento, fino all’uscita di “Occhiali neri”, risaliva nientemeno che al 2012 e coincideva col primo esperimento di horror italiano in tre dimensioni.

Gli effetti speciali di Dracula 3D erano di Sergio Stivaletti, le musiche di Claudio Simonetti: due nomi che, da soli, richiamano la fantasia surrealista del Maestro.

La critica, allora, non fu clemente con quella audace trasposizione cinematografica del romanzo di Bram Stoker. Sarà che a Dario Argento si chiede sempre di muoversi come un elefante in una cristalleria: guai a spezzare l’incantesimo del passato e guai, d’altro canto, a perpetrarlo in uno stile registico che parrebbe superato.

Poi c’è tutta la questione del cinema di serie B, della critica che non comprendeva – e forse non ha mai compreso – né Argento né Bava, dello scetticismo verso quel soprannaturale che per la prima volta, nel capolavoro che fu Suspiria (1977), osò minare le fondamenta del genere. Ma questi sono discorsi da manualistica del settore e, in quanto tali, sfuggono alla superficialità della mera digressione.

Occorre piuttosto sottrarre Dario Argento al marcamento dei detrattori e ricomporre i tasselli di quel puzzle che è stata una grande carriera partendo proprio dall’ultima pellicola.

Il passato che ritorna

“Occhiali neri”, uscito nelle sale il 24 febbraio, non può insomma essere sganciato da un passato che risorge a ogni movimento della macchina da presa, in quell’estetica dell’omicidio presa a modello dagli autori statunitensi, nel costante immedesimarsi dello spettatore nell’assassino grazie all’uso della soggettiva, nella suspense innescata dalla preziosa colonna sonora di Arnaud Rebotini.

Le forme rievocano gli anni Settanta e Ottanta del cinema di Dario Argento: la morte del fotografo (Vittorio Congia) ne“Il gatto a nove code”, quella del pianista cieco (Flavio Bucci) in “Suspiria”,le strade della capitale in “Tenebre” e la notte tra la vegetazione fitta in “Phenomena”, quegli occhi che trascuravano il dettaglio saliente ne “L’uccello dalle piume di cristallo”,cerchiati di nero in “Profondo rosso” e quelli chein “Opera”schizzavano via scrutando nello spioncino o eranocostretti dagli aghi a guardare.

La storia di due eclissi

Tutto converge. La strada percorsa dal Maestro doveva evidentemente condurlo fin qui. E qui l’ha condotto. “Occhiali neri” è la storia di due eclissi: quella del sole, cui si assiste dalle strade dell’EUR, e quella di Diana (Ilenia Pastorelli), una prostituta presa di mira dall’assassino di turno e rimasta cieca dopo un terribile incidente. A prestare gli occhi alla giovane donna un bambino (Xinyu Zhang) e un cane. È solo fuga, solo ferocia che s’abbatte un po’ a caso, sui malcapitati. E comunque ripresa con stile.

Argento che guarda Argento

Il film, che era rimasto per anni nel cassetto, alterna molti primi piani a decisi campi lunghi, fa largo uso della soggettiva, della dissolvenza in nero e mostra quella meticolosa cura del dettaglio alla quale ben si presta la fotografia di Matteo Cocco.

Chi ama Dario Argento non può che sentirsi investito da un sentimento di profonda nostalgia. Chi vuole a tutti i costi denigrarne il lavoro s’aggrappa invece alla gracilità di soggetto e sceneggiatura (dello stesso Argento e di Franco Ferrini), a quella paura che nel 2022 non fa davvero paura.

Non v’è dietro la furia dell’assassino la schizofrenia risvegliata da un dipinto, nemmeno una particolare triade cromosomica o un trauma infantile. Ora il killer uccide senza una precisa ragione. Non v’è alcuna indagine, né alcuna parvenza di rompicapo da risolvere. In “Occhiali neri” urge solo la fuga.

Tra il buio, un barlume di tenerezza

Ilenia Pastorelli fa il suo dovere. Il resto del cast, Asia Argento compresa, pure. Sul finale ci ritroviamo dentro a quell’aeroporto che aveva ratificato la fine dell’incubo a Sam Dalmas (Tony Musante) e Susy Benner (Jessica Harper). E l’incubo, quando si arriva all’aeroporto di Fiumicino, è finito anche per Diana. Resta il buio, però. Partito il piccolo Chin, le rimane solo il cane Nerea. Resta la solitudine cui il buio relega. Imperlata dalla tenerezza che sa profondersi in un abbraccio e che nuovamente, come già accadde a Betty (Cristina Marsillach) o a Jennifer (Jennifer Connelly), trova agio nel mondo animale.

La fedeltà al suo cinema

A voler anatomizzare questo giallo all’italiana si potrebbero reperire varie imperfezioni. Basterebbe accennare a una maniera “datata” di usare la macchina da presa per mandare in sollucchero i denigratori più ostinati. Poi andrebbe tirata fuori la storia del citazionismo, altro cavallo di battaglia di chi dell’ultimo Dario Argento, forse anche del primo, vuol solo dir male.

Ma qui, lungi dal dissezionare il film a scopo puramente valutativo, si aspira piuttosto a marcare la fedeltà di Dario Argento al suo cinema.

Nelle foto del backstage l’ho visto sorridere, col volto disteso e la mascherina sotto al mento. Chissà che con “Occhiali neri” non abbia voluto rifugiarsi nei suoi incubi per scampare una volta di più alla realtà, in particolare a questa realtà.

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