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Il suono: materia vivente da liberare

Tempo di lettura: 3 minuti

Il “suono organizzato”: “materia vivente” nello spazio

“Quando dico “suoni organizzati”, sappiamo cosa significa. Sappiamo cos’è un suono. Sappiamo qual è l’organizzazione. Quando diciamo: “musica”, è molto vago”,

così Edgard Varèse, intervistato da Georges Charbonnier (in Varèse, Editions Pierre Belfond, 1970).

Cosa si deve però intendere per suono, o meglio, quali caratteristiche sono proprie del suono e gli sono immanenti?

Fra le influenze citate da Varèse, spicca, ai nostri fini, quella di Józef Marja Hoene-Wronski.

Una particolare interpretazione di Varèse stesso del pensiero del matematico, scienziato e filosofo Polacco ha a che fare con la “corporalizzazione dell’intelligenza che è nei suoni”.

Ciò implica che i suoni abbiano una determinata intelligenza inerente, e addirittura forse un volere, indipendente dalla trasformazione umana o dalla sua percezione.

Questa concezione era rafforzata dal compositore dalla sua idea della musica – o meglio del suono organizzato – come “spaziale – corpi di suoni intelligenti che si muovono liberamente nello spazio”.

In particolar modo, il concetto di “proiezione nello spazio” sarebbe legato ad una esperienza raccontata da Varèse stesso, in occasione di una esecuzione della Settima Sinfonia di Beethoven a Parigi.

L’esperienza vissuta in una sala dalla cattiva acustica, eccessivamente risonante, con riferimento a una musica così “familiare”, lo indusse a percepire l’impressione che la musica si staccasse e proiettasse se stessa nello spazio. Individuò, in pratica, una ulteriore dimensione nella musica: la proiezione del suono come sensazione data da determinati blocchi sonori nello spazio stesso.

La “Liberazione del suono”

“Il nostro alfabeto musicale è povero e illogico. La musica, che dovrebbe pulsare di vita, ha bisogno di nuovi mezzi di espressione e solo la scienza può infonderle un vigore giovanile”

(The Liberation of Sound, Edgard Varèse e Chou Wen-Chung, Perspectives of New Music, Vol. 5 n. 1 Autunno-Inverno 1966).

In Varèse, la liberazione del suono, quel suono “materia vivente” nello spazio, passa attraverso l’idea di ricorso a temperamenti diversi da quello equabile (“la divisione dell’ottava in dodici semitoni è puramente arbitraria”) – che lo accomunava, in questo senso, ad esempio, a Ferruccio Busoni – e per l’uso di strumenti elettronici, attraverso i quali ottenere “nuovi splendori armonici”.

Nelle parole del compositore: “quando strumenti nuovi mi permetteranno di scrivere la musica così come la concepisco, nella mia opera si potranno percepire chiaramente i movimenti delle masse sonore, dei piani mobili che prenderanno il posto del contrappunto lineare. Penetrazione e repulsione risulteranno evidenti, allora, nella collisione di quelle masse sonore”.

La fede nelle possibilità che la tecnologia può offrire, è forte, e si propaga in relazione a qualunque parametro sonoro o relazione di suoni: altezze, ritmo, timbro, dinamica, proiezione nello spazio.

Allo stesso tempo, però, come notato da Giacomo Manzoni, “[Varèse] era ben conscio […] dei pericoli insiti nell’ipotesi di un’industrializzazione della musica”.

Le “masse sonore” e la “cristallizzazione”

Come si ha modo di vedere, Varèse aveva arricchito il proprio lessico con termini extra-musicali.

Le masse sonore, come verticalizzazione di strutture intervallari aventi determinate proprietà (ad esempio, possibile simmetria a specchio o parallela), che interagiscono fra loro nello spazio, determinano, in un processo, la forma, e ogni lavoro scopre “la propria forma”.

“Concepire la forma musicale come una risultante, il risultato di un processo, fui colpito da ciò che mi appariva una analogia fra la formazione delle mie composizioni e il fenomeno della cristallizzazione”.

A questo fine, per chiarire il concetto, lo stesso Varèse citava la descrizione del processo di cristallizzazione fornitagli da Nathaniel Arbiter, professore di mineralogia della Columbia University.

Il cristallo, infatti, è caratterizzato sia da una definita forma esteriore che da una definita struttura interna. La struttura interna è basata sull’unità di cristallo, come il più piccolo gruppo di atomi che ha l’ordine e la composizione della sostanza.

L’estensione dell’unità nello spazio forma l’intero cristallo.

Il “cristallo si forma come una risultante, piuttosto che un attributo primario. La forma del cristallo è la conseguenza dell’interazione di forze attrattive e repulsive”.

L’impatto di queste concezioni e convinzioni artistiche ed estetiche, è profondo e percorre la storia della musica e della tecnica del XX secolo.

“L’ultima parola è: immaginazione” ed “è l’immaginazione che dà forma ai sogni”.

Scritto da

Autore, docente, sound designer e ingegnere del suono, si occupa professionalmente di disegno sonoro per il teatro d’Opera.

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