Se “Spencer” di Pablo Larraín era “una favola ispirata da una tragedia vera”, “Maria”, terza biografia al femminile dopo “Jackie” (2016) e appunto “Spencer” (2022), ha come protagonista la regina delle tragedie, la più grande, la primadonna, la diva Maria Callas, leggendaria cantante interpretata da Angelina Jolie. Il film, come il terzo atto di una ipotetica trilogia (o di un’opera), combina la narrazione concentrata in un ristretto periodo di tempo di “Spencer”, dato che gli eventi narrati sono condensati nell’ultima settimana di vita di Maria Callas nel settembre del 1977, ai continui salti temporali di “Jackie”, combinando presente e passato attraverso flashback allucinati e visioni segnati da un montaggio che alterna formati, luoghi e situazioni comuni in tempi diversi.
Lady Diana era una donna del presente costretta a vivere nel passato delle tradizioni regali inglesi, Maria Callas invece è una donna del passato costretta a vivere nel presente, un presente in cui non riesce ad essere La Callas, ma solo Maria, incapace di dimenticare nulla e caparbia nel voler ricordare tutto. Una porta sempre aperta impossibile da chiudere, unica via attraverso cui riesce ancora a sentire la musica che, a 53 anni, non riesce più a recitare alla perfezione, incapace di fare miracoli. Morta sul palco migliaia di volte, allucinata da un mix di medicine e psicofarmaci, la diva realizza per sé una autobiografia inventata, un libro segreto, mai scritto, un film immaginario di cui lei è l’unica protagonista. Un film nel film, illusione nell’illusione, confidando ricordi ed ansie, in una auto-intervista in cui lei è ancora una diva.
Una famiglia particolare
Nel lussuoso appartamento parigino dove trascorre le ultime settimane della sua vita, Maria ha come unico contatto con il mondo i due domestici, Ferruccio (Pierfrancesco Favino) e Bruna (Alba Rohrwacher), devoti e accomodanti, genuinamente preoccupati per la salute della padrona di casa ma incapaci di contenere il carattere esplosivo ed esuberante della diva. I tre, nell’isolamento dal resto del mondo, compongono un vero e proprio nucleo familiare, in cui l’opera che il mondo ha sentito alla scala viene recitata davanti a un piatto di carne. Una prigione nella quale, al contrario di quella di “Spencer” da cui Lady D cerca di uscire, Maria cerca un rifugio sicuro, protetta dai costumi di scena, dai vecchi vinili, dalle statue greche e dalla realtà, in un luogo in cui solo lei può decidere cosa sia reale e cosa no.
Jackie, Spencer, Maria: una trilogia di prigioni ed evasioni
I richiami con “Jackie” e “Spencer” sono evidenti, da un incrocio di personaggi che toccano le vite sia di Jacqueline Kennedy che di Maria Callas, fino ad Anna Bolena, incubo protagonista della prigione/reggia di Sandringham House, e l’opera “Anna Bolena” di Gaetano Donizetti, cantata in un momento significativo del film. Come ha rivelato Angelina Jolie nella conferenza stampa, il regista Pablo Larrain e lo sceneggiatore Steven Knight hanno infatti molto discusso delle arie e del momento in cui collocarle nel film, che si ricollegano ai sentimenti della Callas, come se le tragedie interpretate fossero effettivamente una parte di lei.
Maria è un’opera, in tutti i sensi, quasi un musical ironizza Larrain. Una donna sola, l’ennesima nell’universo del regista cileno, schiacciata dal mondo esterno, chi per gli eccessivi sguardi e chi dalla loro assenza.
Dopo la finta biografia di El Conde, Larrain dirige una biografia di un personaggio che vuole scrivere la sua autobiografia, mostrandocela attraverso il cinema, utilizzando ancora una volta un linguaggio nuovo e particolare sul genere. Angelina Jolie, che nel film si esibisce cantando per la prima volta in carriera dopo 7 mesi di preparazione, trasmette la classe, la forza e il dramma di Maria Callas con una interpretazione da tenere in conto per la Coppa Volpi per la miglior interpretazione femminile. Una interpretazione in grado di trasmettere le fragilità dietro ad una donna apparentemente indistruttibile, che dopo aver vissuto tutta la vita per gli altri cerca di ritrovare spazio per sé stessa.
Per quanto forse tocchi picchi meno alti di “Spencer”, anche perché il ruolo dei due comprimari Favino e Rohrwacher non spicca mai del tutto (non per colpa loro), Angelina Jolie come Maria Callas convince appieno e le intuizioni di Larrain si confermano sempre coerenti e parte di uno stile preciso e attento al dettaglio, in un mosaico ricco di simbolismi, tragedie e vestiti eleganti.