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Storie di Resilienza, Teatro

“Anche in ambito culturale e artistico, c’è un pezzo d’Italia che non ce la fa”.

Tempo di lettura: 5 minuti

La promozione dello spettacolo dal vivo di Stato e Regioni, analisi e proposte di Settimio Pisano.

“Quali possibilità hanno alcune regioni di costruire per i propri figli un orizzonte culturale, artistico, estetico e di dargli le stesse occasioni di crescita, di confronto, di formazione che hanno i loro coetanei nel resto del Paese?”

Settimio Pisano*

Non è passato inosservato, e NdS lo riporta in questo articolo, l’intervento di Settimio Pisano durante l’incontro di studio

Stato e Regioni nella promozione dello spettacolo dal vivo”

organizzato dalla Associazione Culturale Ateatro, con la collaborazione e il contributo alla riflessione da parte del Comune di Bologna e con la partecipazione della Regione-Emilia Romagna, che si è tenuto, in presenza e in diretta streaming, nei giorni scorsi presso l’Auditorium Biagi del Salaborsa, Bologna.

Energico e propositivo l’intervento di Pisano che ha analizzato e proposto soluzioni alle problematiche che il mondo dello spettacolo dal vivo, in particolare il teatro, vive da anni, problemi ulteriormente amplificati dalla pandemia.

Salaborsa – Bologna

Il riparto delle competenze legislative e amministrative fra Stato e Regioni in materia di spettacolo dal vivo e le diverse declinazioni che assume è tema fondamentale ma anche nodo irrisolto delle politiche di settore, particolarmente rilevante alla luce degli squilibri territoriali e nella prospettiva di una legge quadro (il “codice dello spettacolo”).

Giuristi, docenti e operatori del settore hanno analizzato e comparato un campione di 9 leggi regionali, nel pomeriggio di studi sono stati presentati i primi risultati della ricerca e ne hanno discusso amministratori, parlamentari, studiosi e organizzatori di spettacolo.

L’intervento di Settimio Pisano

A monte di qualsiasi riflessione sulla questione del riequilibrio territoriale, credo debba esserci una necessaria presa d’atto della grande contraddizione in cui cadiamo nell’approcciare questo tema:

  • se da una parte sosteniamo che in alcuni territori del paese il tessuto economico, sociale, culturale è oggettivamente più debole;
  • che la stessa consistenza democratica delle istituzioni locali è largamente più fragile;
  • che alcune criticità comuni a tutto il paese in alcuni territori sono amplificate

non possiamo dall’altra parte pretendere che il sistema di regole sia uguale per tutti. É chiaro che deve esserci un terreno di regole comuni, ma deve esserci in quanto cornice.

È necessario dunque prendere atto che, anche in ambito culturale e artistico, c’è un pezzo d’Italia che non ce la fa.

La pandemia ha amplificato il divario tra i vari territori del paese e alcune regioni, non solo a sud, hanno accusato particolarmente il colpo. Tra tutte, la Calabria e la Basilicata rappresentano oggi un profondo buco nero all’interno della geografia culturale del paese, tanto che se oggi dovessimo tracciare un ipotetico ponte artistico sullo stretto di Messina, questo ponte dovrebbe partire da Salerno.

Perché c’è un pezzo d’Italia che non ce la fa?

Perché gli attuali modelli di istituzioni artistiche sono insostenibili solo per alcuni territori.

Ma è davvero soltanto un problema di mancanza di risorse adeguate e di cattive politiche pubbliche di alcune regioni?

Siamo certi che anche in presenza delle necessarie risorse statali e regionali e di una migliore gestione del settore, alcune regioni riuscirebbero a sostenere, rimanendo nell’ambito del teatro, l’attuale modello di Teatro Nazionale o di TRIC?

Certo non tutte le regioni devono necessariamente avere una vocazione tale da esprimere un Teatro Nazionale o un TRIC, ma d’altra parte è possibile che una parte del Paese rimanga priva della possibilità di esprimere una propria istituzione artistica di rilevanza nazionale?

Se questi attuali modelli sono insostenibili, quali modelli possono essere sostenibili per una parte del Paese e come possiamo arrivare a costruirli?

Mi riferisco a istituzioni che siano anche in grado di ridurre le asimmetrie territoriali per quello che riguarda l’offerta artistica, che è un altro dei gravi problemi emersi con forza nel post pandemia: in diverse regioni italiane è infatti in atto un’omologazione, in termini di mancata pluralità dell’offerta artistica, senza precedenti, completamente schiacciata su una proposta commerciale, che è l’unica in grado, in questo momento, di reggere l’impatto del botteghino.

Esempi positivi s’intravedono nelle residenze artistiche e nel progetto aree disagiate (progetto lanciato dall’ETI tra la fine degli anni ’90 che riguardò cinque regioni del meridione), esempi che ci devono far pensare che la strada da percorrere è il lancio, tra Stato e Regioni, di progetti che abbiano un tempo d’incubazione abbastanza lungo da innescare dei processi che abbiano l’obiettivo di costruire nuovi modelli di istituzioni artistiche che possano legittimare l’accesso al finanziamento pubblico sulla base di parametri differenti dagli attuali che per molti sono insostenibili.

I processi sono più importanti dei risultati.

I processi sono lenti, invisibili, spesso estenuanti però solo attraverso i processi si riescono a trasformare le pratiche, a superare resistenze, a piantare radici profonde che sono difficili da estirpare e che possono portare risultati.

Per avviare questo percorso di riforma delle istituzioni artistiche io credo sia necessario un grande sforzo di immaginazione, perché oggi le istituzioni vanno reinventate in relazione a circostanze politiche e culturali profondamente mutate.

Forse bisognerebbe avere il coraggio di immaginare che, magari non domani, ma forse dopodomani, gli attuali modelli di Teatri Nazionali e di Tric possano essere superati a partire dalla loro stessa denominazione e definizione, in direzione di una dichiarata e sostanziale multidisciplinarietà che dia diritto di cittadinanza a quelle creazioni contemporanee più ibride che non trovano spazio nel nostro Paese.

Forse bisognerebbe avere il coraggio di immaginare che proprio dal deserto rappresentato da alcuni territori si può partire in questo processo di riforma, convertendo il vuoto istituzionale in opportunità di costruzione di nuove strade.

Perché è proprio nel deserto che, paradossalmente, è più facile costruire, perché ci sono meno resistenze e meno spinte alla conservazione.

Del resto, la storia politica e culturale del nostro Paese e non solo, ci insegna che proprio nei momenti di grande fragilità e proprio nei contesti più marginali si è costruito il futuro.

Bisogna quindi avere il coraggio di avviare progetti pilota in accordo tra lo Stato e le Regioni, per fare in modo che a chi sta indietro venga dato il tempo e il denaro necessario a trovare la propria via, avendo anche l’ambizione di aprire una strada di sperimentazione esportabile in altri contesti. Perché se è vero che gli attuali modelli sono insostenibili per alcuni territori, è vero anche che il resto del Paese non ci sta così comodo.

Teatro di prosa (2014) – Province del Cluster 2 ▬ Basso numero di spettacoli, basso valore dell’indice di copertura territoriale dell’offerta di spettacolo e basso numero di ingressi per spettacolo.
Il Cluster 2 si caratterizza per una offerta di spettacolo di piccola dimensione e poco presente sul territorio, e per un basso livello di partecipazione del pubblico agli spettacoli proposti. All’interno del Cluster 2, le province in cui si sono tenuti meno spettacoli, rispettivamente meno di 100, sono Isernia, Crotone e Campobasso, l’indice di copertura territoriale dell’offerta di spettacolo è minore di 10% nelle province di Campobasso, Catanzaro, Crotone e Rieti, e il numero di ingressi per spettacolo è minore di 100 sia nella provincia di Rieti che in quella di Crotone. Crotone è la provincia italiana nella quale si registra il più basso numero medio di ingressi per spettacolo teatrale di prosa (link al documento).
Fonte: Elaborazione Osservatorio dello Spettacolo su dati SIAE e su dati ISTAT

*: Settimio Pisano, dopo un triennio di studio e lavoro a Seattle (USA), si laurea alla University of Salford di Manchester (UK) e in Scienze Politiche all’Università degli Studi di Siena.

Pisano partecipa al Corso di Formazione Gestionale per Operatori di Attività Teatrali e di Spettacolo diretto da Lucio Argano e promosso dall’ETI Ente Teatrale Italiano) svolgendo anche uno stage a Udine presso il CSS (Centro Servizi e Spettacoli, Teatro Stabile d’Innovazione del Friuli Venezia Giulia).

Dal 2000 cura l’organizzazione della Compagnia Scena Verticale di Castrovillari (Premio della Critica Teatrale 2003), impresa di produzione riconosciuta dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali.

Gli spettacoli della compagnia, diretta artisticamente da Saverio La Ruina e Dario De Luca, a partire dal 2007 ricevono alcuni dei maggiori riconoscimenti nazionali (Premio UBU per tre anni, Premio Hystrio, Premio Lo Straniero, Premio Enriquez, Premio A. Ruccello) ed effettuano tournée anche all’estero con repliche in USA, Argentina, Russia, Francia, Germania, Belgio, Inghilterra, Irlanda, Croazia, Bosnia, Albania, Svizzera.

Dal 2000 è direttore organizzativo di Primavera dei Teatri (Premio Speciale UBU 2009 – Premio G. Bartolucci 2001), festival sui nuovi linguaggi della scena contemporanea socio di Italiafestival … E tanto altro ancora…

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