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Padiglione Philips all'Expo di Bruxelles, 1958

Tecnologia e spettacolo

Suono e Spazio/1

Tempo di lettura: 2 minuti

Comincia oggi l’indagine di Luca Bimbi sul rapporto fra suono (e suono organizzato: musica) e spazio, attraverso elementi storici, psicoacustici, tecnici e musicali.

“Proiettare nello spazio è coreografare il suono”

Di per sé, la spazializzazione non è un concetto nuovo in musica (si pensi ad esempio alle esperienze policorali risalenti al XVI secolo), ma l’invenzione dell’altoparlante ha determinato una vera e propria rivoluzione: ha reso infatti possibile proiettare il suono in qualunque spazio (indipendentemente dalla sua dimensione) e in qualunque modo.

Tali potenzialità sono state esplorate progressivamente in particolar modo a partire da dopo il secondo conflitto mondiale; si pensi, per esempio, a Gesangder Jünglinge di Stockhausen del 1956 o a Poème Electronique di Varèse del 1958 – lavoro quest’ultimo, proiettato nello spazio attraverso 425 diffusori acustici presso il Padiglione Philips, progettato da Iannis Xenakis per Le Corbusier per l’Expo 58 a Bruxelles.

La spazializzazione, pur determinando un “fattore limitante” – dal momento che la nostra capacità di percepire configurazioni sonore spaziali e movimenti sonori nello spazio non è illimitata – serve sicuramente funzioni compositive fondamentali: la posizione del suono nello spazio ha valore musicale in sé, e la separazione spaziale facilita una maggiore complessità in musica contribuendo a chiarire parametri, profili e strutture musicali.

La percezione del suono nello spazio

La localizzazione del suono nello spazio da parte di un ascoltatore avviene tridimensionalmente: si individua un angolo di altezza, o Zenit, un angolo orizzontale, o Azimut e la distanza o velocità (per suoni statici o in movimento).

Principalmente, con riferimento all’Azimut, bisogna far riferimento a due criteri, affinché un suono sia percepito come provenire da un lato o dall’altro:

  1. Differenza di pressione sonora sinistra-destra;
  2. Differenza di tempo di arrivo del suono alle orecchie.

Per ciò che concerne la distanza:

  1. Il rapporto fra segnale diretto e riverberato;
  2. La perdita di componente in alte frequenze;
  3. Perdita della sensazione di attacco e dettaglio.

Se la distanza tra una sorgente sonora e l’ascoltatore cambia, si ottiene il cosiddetto effetto Doppler.

Per ciò che concerne lo Zenit, si è riscontrato che la superficie dei padiglioni auricolari e delle spalle agiscono da riflettori, creando tempi di ritardo stretti che si manifestano nello spettro sonoro come filtri a pettine. Tali riflessioni agiscono, per frequenze superiori a circa 6 Khz, sulla localizzazione verticale.

Nel prossimo articolo

Dal prossimo intervento verificheremo come simulare, con gli strumenti tecnici disponibili, tali criteri ai fini della localizzazione del suono nello spazio attraverso diffusori acustici.

Scritto da

Autore, docente, sound designer e ingegnere del suono, si occupa professionalmente di disegno sonoro per il teatro d’Opera.

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