L’amore di Pedro Almodovar per il teatro trasuda in tutto il suo cinema, e non è eccezione il suo ultimo film, “The Room Next Door”, dramma americano che con un lavoro di immaginazione si può quasi pensare rappresentato sul palco piuttosto che in una clinica di New York o in una casa nel bosco.
Ingrid (Julianne Moore) è una scrittrice di successo che ha appena pubblicato il suo nuovo libro “On Sudden Death” in cui parla del suo rapporto con la morte, per cui prova terrore. Al firmacopie scopre che una sua amica che non vede da anni, Martha (Tilda Swinton), reporter di guerra, è malata di tumore si trova in una clinica di New York dove si è sottoposta ad una cura sperimentale. Ingrid e Martha rilegano velocemente, condividendo ricordi del passato e pensieri sulla vita e sulla morte, fino a quando Martha, stanca di aspettare, decide che vuole essere lei a scegliere come e quando andarsene.
Il cinema di Almodovar è sempre stato un cinema dell’umano, che attraverso il colore, la condivisione, la gioia, esprime contenuti fortemente e coraggiosamente politici. Le implicazioni politiche non sono nascoste e neanche implicite, tanto che nei discorsi di Damien (John Turturro), amico di entrambe le donne e confidente di Ingrid, si può connettere una metafora tra macro e micro, tra la storia di una donna e del mondo intero.
Una donna malata in un mondo malato
A un livello micro infatti “The Room Next Door” è la storia di una donna affetta da un male incurabile che affronta la propria morte, ma ad un livello macro è anche la storia di un mondo malato che sta andando incontro a grande velocità verso la sua fine. La ricetta dell’apocalisse per Almodovar è chiara e confermata anche in conferenza stampa: neoliberismo, ascesa dell’estrema destra e il pericolo del surriscaldamento globale. La ricetta per la salvezza è quella che Almodovar predica in tutto il suo cinema: la comunità, la sorellanza (più che fratellanza), il manifestare insieme per le strade, nelle piazze, nelle case. “L’allegria è la miglior forma di resistenza”, dice il regista spagnolo in conferenza stampa.
E nella casa di “The Room Next Door” parte una piccola rivoluzione di una donna che sceglie di morire e come morire, e di farlo accompagnata da una sua amica, in una storia di amicizia e di amore. Un film che, nelle parole di Tilda Swinton, più di essere un film sulla morte, è un film sulla vita e sul tempo che ci rimane.
Se l’occhio di Almodovar rimane riconoscibile nell’accarezzare i volti delle protagoniste e incorniciarle in appartamenti colorati e riccamente decorati di dettagli e oggetti che raccontano oltre che il loro gusto la loro vita, l’ambientazione americana e le protagoniste borghesi (piuttosto che working class) danno un fascino quasi Alleniano alle prime battute del film. Tuttavia alla sua conclusione si ha la sensazione che questa volta nella ricetta del regista spagnolo sia mancato qualcosa: un’emozione, un messaggio, un contenuto.
Snow was general all over Ireland…
Elementi come quello ambientale o come quello politico nella denuncia contro l’illegalità dell’eutanasia, più che temi realmente trattati sembrano solo dei temi citati, come di passaggio, ma che non sfociano mai effettivamente in una argomentazione approfondita. L’evoluzione del rapporto tra le due protagoniste, per quanto interpretate da grandissime attrici come Julianne Moore e Tilda Swinton (al ritorno a Venezia con Almodovar dopo il brillante corto “The Human Voice”) non riesce mai ad entrare più di tanto nel cuore.
I simboli, la stanza rossa aperta o chiusa con due significati così diversi, e la neve del finale dei “Dubliners” di James Joyce, sono a volte troppo spiegati e a volte poco sfruttati, ripetuti più che inseriti nel corso dell’evoluzione della storia.
Non ci si aspettava ovviamente una commedia esplosiva date le premesse, ma il film risulta scarico e senza energia, non abbastanza intenso né nei momenti più dolorosi né in quelli più giocosi e che dovrebbero sottolineare la profondità e la crescita del rapporto delle due donne, non risolvendo in maniera soddisfacente le varie sottotrame accennate e lasciate vagare nella mente dello spettatore senza conclusione. Un film che nonostante un cast stellare e alcune buone intuizioni non riesce mai a raggiungere appieno il climax emotivo, in un’opera che purtroppo non convince del tutto.