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“Povere Creature”, una fiaba femminista tra surrealismo e steampunk

Tempo di lettura: 3 minuti

“Povere creature!” (Poor Things) del regista e produttore greco Yorgos Lanthimos è dal 25 gennaio nelle sale italiane. Una fiaba femminista che mescola surrealismo e steampunk, che nell’eccentricità del genere fantascientifico d’epoca vittoriana trova la perfetta condizione per un estetismo stroboscopico, visionario, sontuoso.

Tratto dall’omonimo romanzo di Alasdair Gray, “Povere creature!” narra la storia di Bella Baxter (Emma Stone), giovane suicida cui lo scienziato Godwin (Willem Defoe) restituisce la vita, impiantandole il cervello del bambino che la donna portava in grembo. 

Fatta tabula rasa nella sua mente, spetta a Bella apprendere nuovamente il mondo da abitare. Un mondo che si allarga a raggiera e all’occorrenza si trasforma, si deforma come nell’ottica grandangolare di cui fa largo uso il regista; un mondo che assume le sembianze di luoghi manifestamente innaturali, ancorché sapientemente dipinti. 

Promessa in sposa allo studente di medicina Max McCandless (Ramy Youssef), Bella si lascia comunque tentare dall’avvocato Duncan Wedderburn (Mark Ruffalo) e intraprende un lungo viaggio, mossa essenzialmente dal desiderio umano della scoperta e senza alcuna nostalgia della sua Itaca. 

Il padre putativo non l’ha trattenuta. Del resto, già da qualche tempo Bella aveva manifestato l’urgenza di spiccare il volo. Le sue motivazioni, anche dinnanzi a Max, sono inappuntabili, coerenti, esatte come tutto ciò che sgorga dal ragionamento scientifico.

A Bella mancano le sovrastrutture mentali e le riesce oltremodo naturale coltivare il seme di purezza e sacralità indispensabile alla liberazione delle potenzialità personali. Le sue scoperte, specie quelle che afferiscono alla sfera sessuale, prescindono dalle norme morali socialmente condivise. Tutto, al tocco di Bella, ridiventa innocente. Tutto acquista spontaneità. Tutto si piega al libero arbitrio e al suo legittimo esercizio.

Nella verosimiglianza della realtà affrescata – ché di un grande affresco si tratta – Lanthimos scorta con la cinepresa una Emma Stone letteralmente da Oscar e ne cattura i cambiamenti. Mai personaggio fu così dinamico nell’ambito della fantascienza. A riprova di come la libertà individuale, in questo caso scevra di condizionamenti, possa concepire esseri umani straordinari a dispetto persino dell’imperfezione del reale.

Bella è restituita al mondo da un uomo che ha sperimentato su sé stesso il costo altissimo delle sfide alla natura e a Dio, con cui sembra peraltro destinato dal suo stesso cognome a dover competere. Eppure Bella, nell’abitare quel mondo, non è soggetta a regole, a limitazioni: una forma personale di anarchia che è istinto, autonomia, emancipazione. Nulla di ciò che fa risulta licenzioso, nulla di ciò che si astiene dal fare procura sofferenza ad altri.

Allora crollano uno a uno i pilastri di una società della quale “Povere creature!” rimarca l’aspetto più irrazionale, certa stupidità, l’indole marcatamente frustrante.
Sul piglio innocente nel prendersi ciò che vuole, sulla rivendicazione spontanea d’ogni diritto naturale, fosse anche la libertà di vendere il proprio corpo, si fonda la bellezza di questo personaggio archetipo di una umanità vera. Dimenticata e vera.
E qui la fantascienza si mette per un attimo da parte. Qui Bella assurge a metafora della donna libera. Oltre il maschilismo, il patriarcato, oltre ogni pregiudizio sociale e culturale che determinino manifestazioni di prevaricazione. 

“Povere creature!”, per la realizzazione del quale il regista greco ha anteposto la bellezza formale a qualsiasi altro intento didascalico, o peggio moraleggiante, abbatte tuttavia in un sol colpo l’impalcatura sociale moderna dentro alla quale, dimenandoci, ci illudiamo d’essere liberi.

È chiaro che per far tutto questo Lanthimos debba cavalcare l’onda dell’eccesso, dell’ampollosità formale. Se intendi infrangere le regole della società devi farlo, coerentemente, a trecentosessanta gradi. Magari alternando il bianco e nero ai colori sgargianti o al Technicolor, i paesaggi provvisti d’una certa verosimiglianza a quelli smaccatamente innaturali, il fish eye alle riprese regolari, gli esseri umani agli animali improbabili che si aggirano dentro casa.

E, sempre tu voglia infrangere quelle regole, devi disturbare lo spettatore, devi metterlo a disagio, devi farlo ridere della normalità e dell’anomalia, devi confondere le carte e confonderlo, perché possa infine ridiscutere egli stesso i medesimi concetti di normalità e anomalia. Ridiscuterli ed eventualmente ribaltarli. 
“Povere creature!”, che richiama il cinema al suo ruolo politico, da esercitare con maggiore veemenza in questo mondo alla deriva, è in definitiva l’ennesima sfida vinta da Yorgos Lanthimos e da una squadra di artisti d’eccezione. Dall’ardimentosa sceneggiatura di Tony McNamara alle musiche dissonanti di Jerskin Fendrix, dalla pregiata fotografia di Robbie Ryan a un cast superlativo, tutto è perfetto. E di una bellezza rara, esorbitante.

L’ennesima sfida vinta da Lanthimos, appunto, E la conferma dell’ottima salute di cui, a dispetto dei detrattori più incontentabili, gode il cinema oggi.

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