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TAXI DRIVER: COME SCORSESE PARLA DI ALIENAZIONE E SOLITUDINE

Tempo di lettura: 4 minuti

TAXI DRIVER è un film del 1976 diretto da Martin Scorsese e scritto da Paul Schrader. La pellicola è la perfetta rappresentazione cinematografica della solitudine e dell’alienazione, tematiche fondanti della corrente cinematografica della New Hollywood. Un dramma sociale con fortissime tinte noir che lo rendono grazie anche alla colonna sonora di Bernard Herrmann – già compositore delle musiche di Quarto Potere, Ultimatum alla Terra, Fahrenheit 451 e soprattutto di alcuni dei thriller più celebri di Alfred Hitchcock – un vero e proprio capolavoro.

Nel cast spiccano un magistrale Robert De Niro alla sua seconda collaborazione con Scorsese (con il quale formerà un sodalizio artistico dopo questo film, diventando il suo attore feticcio per eccellenza), una giovanissima Jodie Foster, Cybill Sheperd e un Harvey Keitel, per la quarta volta davanti alla macchina da presa di Scorsese, nel riuscitissimo ruolo del pappone.

Ambientato a New York nel 1975, Taxi Driver racconta del ventiseienne Travis Bickle (Robert De Niro), un depresso disadattato, reduce del Vietnam con un disturbo post traumatico da stress. Non in grado di instaurare relazioni stabili, il giovane vive in un costante stato di alienazione che lo porta a soffrire di insonnia cronica. Un uomo a suo modo buono, molto ingenuo e impacciato, indifferente alla realtà e alle situazioni che lo circondano. L’unico elemento che lo affligge è il degrado che vede per le strade di New York e tutti i suoi protagonisti: puttane, sfruttatori, drogati, spacciatori, ladri e scippatori; “animali notturni” verso cui il protagonista nutre un odio latente.

Durante il giorno Travis scrive un diario o guarda la televisione, il suo unico svago quando esce è la visione di film pornografici in squallidi cinema a luci rosse. Per spezzare la sua routine monotona e curare la sua insonnia, Travis trova lavoro come tassista notturno.

L’incontro con Betsy (Cybill Sheperd), una giovane impiegata nella dello staff elettorale del senatore candidato alla presidenza Charles Palantine (Leonard Harris), porta Travis a vedere nella ragazza un’ancora di salvezza; proprio come la vede nel politico che lei sponsorizza. Dopo un breve corteggiamento in cui dimostra tutte le sue contraddizioni, il tassista riesce ad avere un appuntamento con Betsy per il cinema, dove rovina tutto portandola a vedere un film pornografico, non ponendosi il problema di cosa la donna potesse pensare. La delusione amorosa fa scattare nel cervello di Travis un meccanismo che lui riassume con la frase «HO CERTE CATTIVE IDEE PER LA TESTA». Il protagonista entra in una parabola discendente che lo porta prima ad acquistare delle pistole, poi a scegliere il bersaglio di una sua personale vendetta: il senatore Palantine.

«ERA UN’IDEA CHE ANDAVO RIMUGINANDO DA PARECCHIO TEMPO. ERA LUI, ERA LUI IL SIMBOLO DI TUTTO CIÒ CHE DI MALE ERA SUCCESSO A ME»

Il piano di Travis viene momentaneamente fermato dal casuale incontro con Iris (Jodie Foster), una prostituta tredicenne conosciuta brevemente mesi prima, quando aveva cercato di fuggire dal suo protettore Sport (Harvey Keitel) salendo sul taxi di Travis, per poi essere recuperata dal pappone. La triste condizione della ragazza dà a Travis un nuovo obiettivo: salvarla dai suoi protettori e concederle una vita migliore.

Fallito l’attentato al senatore, Travis sceglie di salvare Iris compiendo una carneficina e tentando poi invano di suicidarsi. Il piano ha successo, la ragazza è salva e il tassista viene dipinto come un eroe dai giornali. Passato del tempo, Travis sembra essere guarito dalla sua solitudine e depressione, ma un ultimo sguardo nevrotico allo specchietto del taxi spezza ogni certezza.

«LA SOLITUDINE MI HA PERSEGUITATO PER TUTTA LA VITA. DAPPERTUTTO. NEI BAR, IN MACCHINA, NEI NEGOZI, DAPPERTUTTO. NON C’ È SCAMPO. SONO NATO PER ESSERE SOLO»

Taxi Driver è la storia di un personaggio mite, solitario e impacciato, che si trasforma in un vendicatore in lotta contro la violenza e il degrado metropolitano. Scorsese trascina gli spettatori all’interno di una mente disturbata, il frutto di una società malata e violenta. Per le strade di New York c’è violenza, i pensieri di Travis sono violenti, per eliminare la violenza che lo circonda le sue azioni diventano violente. Non è un caso che il protagonista sia un reduce del Vietnam, Scorsese critica fortemente l’America degli anni ’70 che mandava i giovani in guerra, distruggendo la loro psiche e rendendoli inadatti alla realtà.

La sceneggiatura di Paul Schrader è profondamente esistenzialista, con forti ispirazioni a Lo Straniero di Camus e alla storia di Arthur Bremer, criminale statunitense che nel 1972 tentò di assassinare il governatore dell’Alabama George Wallace.

La regia di Scorsese è impeccabile, mostra sempre la solitudine di Travis. In ogni momento il protagonista è solo, nel suo piccolo appartamento, mentre parla con i colleghi, e persino in mezzo alla folla. Durante i dialoghi di Travis con altri personaggi la regia si alterna in primi piani. Travis viene sempre inquadrato da solo, mentre un piccolo lato del suo volto è sempre visibile quando i suoi interlocutori parlano. Così facendo, le persone risultano sempre distanti dal giovane, che a sua volta è ritagliato nel suo piccolo mondo. La sparatoria finale è l’unico vero momento in cui la macchina da presa distoglie l’attenzione dal protagonista per contemplare ciò che ha fatto. Il regista alza la macchina da presa, inquadrando dall’alto verso il basso in una lenta sequenza che mostra l’efferatezza di ciò che è avvenuto, per poi andare a scemare all’esterno dell’edificio. La regia ha costanti riferimenti alla Nouvelle Vague, con citazioni e stili di regia ispirati a Jean Luc-Godard.

New York è fotografata in modo eccelso: luci al neon, fumo, spazzatura, umido e pioggia, inquadrature fanno immergere lo spettatore nella New York notturna, al punto che si riescono quasi a sentire gli odori,   percepire la sporcizia e il degrado della città. Le musiche di Herrmann – le ultime composte prima della morte – penetrano nella mente dello spettatore, rappresentando lo stato d’animo di Travis. Il motivetto jazz con il sax lento e romantico diventa malinconico e la sua presenza ossessiva accresce il senso di alienazione che permea la pellicola.

La narrazione fa largo uso di voice over da parte del protagonista. Attraverso il racconto di Travis lo spettatore ha accesso alla sua psiche, ai suoi pensieri e alla sua distorta visione del mondo. La voce del protagonista influenza anche la percezione emotiva dello spettatore, facendo risultare Travis come unico personaggio onesto e giusto della pellicola. Quando il protagonista entra nella parabola discendente, i voice over diminuiscono, fino a sparire del tutto verso la conclusione del film, come se Travis smettesse di pensare.

Scritto da

Pisano di nascita e romano d'adozione. Da diversi anni ho sviluppato una grande passione per i film, il cinema e tutto ciò che si lega a esso, dalle origini con Méliès, all'Espressionismo tedesco, fino alla contemporaneità.

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