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IN ATTESA DELLA RIAPERTURA: SHINING DI STANLEY KUBRICK

Tempo di lettura: 7 minuti

Quaranta anni fa il cinema horror si arricchì dell’opera di uomo che all’epoca era probabilmente il miglior regista vivente. Il 22 dicembre 1980 nelle sale cinematografiche italiane uscì forse il più ansiogeno e autoriale horror della storia del cinema: Shining di Stanley Kubrick.

Shining è un film del 1980 diretto da Stanley Kubrick e scritto dallo stesso regista insieme a Diane Johnson. Ispirato liberamente all’omonimo romanzo del 1978 di Stephen King, Shining rappresenta la “tappa horror” del lungo itinerario che il regista, durante la sua non-abbastanza-lunga carriera, ha percorso attraverso i generi cinematografici.

Kubrick riesce come suo solito a creare un film originalissimo, un horror con tratti grotteschi basato quasi unicamente sulla parte malvagia che si nasconde nell’inconscio umano. Grazie a una regia magistrale, alle inquietanti musiche di Wendy Carlos, Rachel Elkind, Krzysztof Penderecki e alle ottime interpretazioni degli attori (tra cui spicca un Jack Nicholson iconico), Shining è uno dei migliori film di Kubrick e di conseguenza uno dei migliori horror della storia del cinema.

«È IL SENSO DEL DOVERE CHE CI FREGA, AMICO MIO. IL SENSO DEL DOVERE, CI FREGA»

Lo scrittore senza ispirazione Jack Torrance (Jack Nicholson) sostiene un colloquio come guardiano invernale per l’Overlook Hotel, un enorme albergo isolato tra le montagne del Colorado costruito sui resti di un cimitero indiano. Durante il colloquio a Jack viene detto che nell’inverno 1970 l’allora guardiano invernale Delber Grady a seguito di un esaurimento nervoso causato dall’alienazione aveva ucciso con un’ascia le sue figlie gemelle e la moglie, prima di spararsi. Jack, che auspica la solitudine per scrivere il suo romanzo, non si preoccupa della cosa, anzi è entusiasta del lavoro così come crede che lo saranno la moglie Wendy (Shelley Duvall) e il figlioletto Danny (Danny Lloyd). Danny non vorrebbe partire per l’Overlook Hotel sia perché il suo amico immaginario Tony “il bambino che vive nella sua bocca” glielo sconsiglia sia perché ha delle visioni macabre dell’albergo, vedendo i corpi delle due figlie di Grady o un lago di sangue che invade i corridoi. All’Overlook Hotel il capocuoco Dick Hallorann (Scatman Crothers) avverte le capacità di Danny e gli parla telepaticamente del loro potere – chiamato luccicanza – che gli consente di avere premonizioni del futuro. L’uomo spiega al bambino che, essendo capitati brutti avvenimenti nell’albergo, si possono avere visioni di questi eventi non reali; eppure non dovrà mai avvicinarsi alla camera 237.

Rimasti soli nell’hotel, i Torrance si adattano alla solitudine: Jack sembra molto ispirato per scrivere il suo romanzo, Wendy si tiene occupata facendo lavori domestici ed esplorando l’enorme labirinto di siepi dell’Overlook Hotel e Danny gironzola per tutto l’albergo con il suo triciclo. Col passare del tempo la neve isola l’hotel e Jack inizia a dare segni di squilibrio, essendo sempre più scontroso e aggressivo con la moglie e perdendo al contempo l’ispirazione per scrivere. Danny, durante un giro in triciclo tra i corridoi dell’albergo, incontra le due gemelline Grady che gli parlano e le sue visioni inquietanti aumentano. Tony, la rappresentazione della luccicanza di Danny, lo rassicura ricordandogli le parole del signor Hallorann circa l’irrealtà di ciò che vede, ma dopo pochi giorni il bambino trova la porta della camera 237 socchiusa e vi entra. Jack intanto ha un incubo, immagina di uccidere la sua famiglia con un’ascia e il suo sconforto aumenta quando lui e la moglie vedono che Danny, in stato di choc, ha dei segni sul collo, come se qualcuno avesse cercato di strangolarlo. Wendy accusa il marito di ciò che è successo e quest’ultimo, dichiarandosi innocente, per riprendersi decide di bersi un drink. Nella sala da ballo dell’albergo Jack ha un impossibile dialogo col barista anni ‘20 Lloyd (Joe Turkel),al quale spiega di non voler far male alla sua famiglia, nonostante tre anni prima a causa dell’ebbrezza avesse spezzato il braccio a Danny che gli aveva sparpagliato dei fogli. L’assurdo dialogo viene interrotto da Wendy (che ovviamente non ha notato niente, non essendoci nessuno oltre a loro) la quale riferisce al marito che, secondo quanto le ha detto il figlio, questo sarebbe stato quasi strangolato da una donna che si trovava in una camera dell’albergo. Indagando, Jack trova nella camera 237 una donna nuda che inizia a baciarlo, salvo poi trasformarsi in una vecchia e iniziare a decomporsi.

Lo squilibrio mentale dell’uomo peggiora e le sue allucinazioni con esso, si convince sempre di più che la sua famiglia lo stia accusando di tutti i mali solo per renderlo infelice e rovinarlo. Nella sala da ballo dell’albergo Jack partecipa a una festa anni ’20 e viene per errore sporcato da un maggiordomo che si offre di ripulirlo: costui è Delbert Grady (Philip Stone), il precedente guardiano dell’Overlook Hotel. Grady non ricorda di essersi sparato né di aver ucciso la propria famiglia, ma conferma i timori di Jack sulla malvagità dei suoi cari e gli consiglia di intervenire in modo definitivo. In Florida intanto, Dick Hallorann avverte tramite la luccicanza che il piccolo Danny si trova in pericolo e cerca di raggiunge il Colorado. Wendy sempre più convinta della follia del marito ne ha un’ulteriore riprova scoprendo il “romanzo” che lui ha scritto durante quei mesi: la ripetizione su centinaia di fogli della frase «All work and no play makes Jack a dull boy». La donna viene interrotta dal marito, che con sguardo folle la minaccia di ucciderla venendo per tutta risposta colpito con una mazza e chiuso nella dispensa. Wendy cerca di chiamare aiuto ma sia la radio che il gatto delle nevi sono stati distrutti da Jack e la tormenta di neve impedisce a chiunque di lasciare l’hotel.

La situazione precipita quando Grady libera Jack dalla dispensa e quest’ultimo, armato di ascia, cerca di uccidere la moglie e il figlio, che a loro volta tentano di fuggire dall’albergo stregato.

«WENDY, TESORO, LUCE DELLA MIA VITA. NON TI FARÒ NIENTE. SOLO CHE DEVI LASCIARMI FINIRE LA FRASE. HO DETTO CHE NON TI FARÒ NIENTE. SOLTANTO QUELLA TESTA TE LA SPACCO IN DUE! QUELLA TUA TESTOLINA TE LA FACCIO A PEZZI!»

In ogni film di Kubrick uno dei temi centrali è la junghiana dualità dell’uomo e in Shining ciò tocca il suo apice. Laddove nel romanzo di King c’era un manicheo confronto tra l’innocenza di Danny e il male assoluto dell’Overlook Hotel, nel film lo sguardo si sposta su Jack Torrance, sul suo conflitto interiore tra bene e male e su come quest’ultimo fin dal principio sia dominante. Kubrick enfatizza questo dualismo attraverso la sua messa in scena sia dell’ambientazione (l’Overlook Hotel è pieno di corridoi e sale in perfetta simmetria tra loro, quasi chirali), sia nella regia che alterna sequenze lente a un dinamismo rivoluzionario, sia nei colori con interni caldi e luminosi ed esterni molto freddi. Il dualismo massimo sia ha però nei personaggi: Danny e il suo alter ego Tony; le due donne nella camera 237; le due gemelline Grady; i due Jack Torrance (l’attuale e quello che appare nel finale).

Shining, come da tradizione per i film di Kubrick, scardina il genere ed è un horror lontano da stereotipi classici. Non ci sono mostri demoniaci o assassini mascherati, solo un albergo – forse – pieno di fantasmi e un’analisi della cattiveria di un uomo. Jack Torrance nonostante lo nasconda odia la sua famiglia, odia le costrizioni e i sacrifici che essa comporta e odia soprattutto il suo doversi limitare per il bene dei suoi cari. La mente di Jack a causa dell’isolamento inizia però a liberarsi dalla prigione della quotidianità, dove deve sembrare un rispettabile padre di famiglia e lavoratore. Le tentazioni sopite dell’uomo prendono vita come fantasmi: l’alcol è il barista Lloyd, l’adulterio è la donna nella stanza 237, la violenza nei confronti della famiglia è Delbert Grady. Ironicamente questi personaggi potrebbero benissimo non essere spiriti che infestano l’Overlook Hotel ma bensì delle visioni che la mente di Jack crea per convincersi di ciò che vorrebbe fare. Non si avrebbero prove che i fantasmi dell’hotel esistano se non fosse per la liberazione dalla dispensa, e anche a questa scena si possono trovare spiegazioni non paranormali.

La paura in Shining è quindi legata al realismo della situazione – aiutato dalla magistrale interpretazione di Jack Nicholson probabilmente nel ruolo della sua vita – e alla crudeltà della mente umana, palpabile attraverso il terrore sul volto di Wendy Torrance che vede il marito perdere la testa e trasformarsi in assassino. La violenza familiare sia fisica che psicologica si lega alle musiche cupe e ansiogene che lasciano spazio a tesi silenzi; alle visioni montate in modo frenetico di cascate di sangue, corpi massacrati, inquietanti fantasmi e grottesche figure; alla scenografia che alterna claustrofobici corridoi con agorafobiche sale fino a unirsi nell’enorme labirinto di siepi e i suoi stretti passaggi; alla regia che segue i protagonisti in modo lento e ossessivo, con zoom progressivi che restituiscono uno stato di opprimente ansia. Per aiutarsi a rendere la cinepresa il più soggettiva possibile, così da aumentare il realismo della pellicola e immergere lo spettatore all’interno dell’Overlook Hotel, Kubrick utilizzò la neonata invenzione di Garret Brown: la steadycam, un supporto meccanico agganciato a un corpetto che permette a un operatore di agganciarvi la macchina da presa, mantenendo le mani libere, riuscendo a muoversi senza che l’inquadratura subisca oscillazioni. L’uso che ha fatto Kubrick della steadycam in Shining è, secondo il creatore del supporto, tuttora insuperato per l’eleganza, l’espressività e la naturalezza delle riprese. Il risultato è ben visibile per chiunque: un capolavoro che ancora oggi produce ansia e terrore con la stessa abilità con cui instaura il dubbio che nulla di ciò che appare nel film sia reale grazie all’emblematica scena finale.

Shining fu un buon successo commerciale per Kubrick, incassando 44 milioni di dollari negli Stati Uniti, risultando il quattordicesimo miglior incasso del 1980. In Italia si classificò al decimo posto tra i film più visti dell’anno, con un guadagno di circa 670 milioni di lire.

Scritto da

Pisano di nascita e romano d'adozione. Da diversi anni ho sviluppato una grande passione per i film, il cinema e tutto ciò che si lega a esso, dalle origini con Méliès, all'Espressionismo tedesco, fino alla contemporaneità.

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