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AGUIRRE, FURORE DI DIO DI WERNER HERZOG

Tempo di lettura: 6 minuti

Durante gli anni di splendore del movimento del Junger Deutscher Film, il Nuovo Cinema Tedesco, videro la luce in Germania Ovest le opere dei più illustri registi tedeschi dell’epoca. Il 29 dicembre 1972 nei cinema della Germania uscì una delle più importanti e famose pellicole della storia della cinematografia tedesca moderna: Aguirre, Furore di Dio di Werner Herzog.

Aguirre, Furore di Dio è un film del 1972 scritto, prodotto e diretto da Werner Herzog. Ispirato ai racconti della spedizione del conquistador Don Lope de Aguirre alla ricerca dell’El Dorado, il film di Herzog racconta con estrema crudezza l’uomo che si ribella alla natura, inseguendo un sogno di potenza che lo porterà alla follia. Con Aguirre, Furore di Dio viene sancita la prima delle cinque collaborazioni che Herzog ha avuto con Klaus Kinski, in un celeberrimo sodalizio artistico fondato sul desiderio di estrema sperimentazione espressiva.

Il film consolida la maturità artistica del regista, mostrando tutte le caratteristiche del cinema di Herzog a partire dalla ricerca della die ekstatische Wahreit, la “verità estatica”: una miscela di realismo, invenzione, immaginazione e stilizzazione che tocca l’animo dello spettatore, da cui scaturisce la profonda verità delle opere.

«I MIEI UOMINI MISURANO TUTTO CON L’ORO, MA PER ME CONTA SOLO IL POTERE. L’ORO LO LASCIO AI SERVI»

Gli ultimi giorni di dicembre del 1560 una compagnia di conquistadores spagnoli, guidata da Don Gonzalo Pizarro, scende da Machu Picchu nella foresta amazzonica alla ricerca di El Dorado, il leggendario tesoro in grado di appagare ogni cupidigia. Viste le difficoltà del viaggio, Pizarro manda i suoi quaranta uomini più valorosi su tre zattere per discendere il Rio delle Amazzoni, ricercando viveri e informazioni sull’esatta ubicazione dell’El Dorado. Alla guida dei quaranta è posto Don Pedro de Ursúa (Ruy Guerra), accompagnato dalla moglie Inez (Helena Rojo) e il suo secondo in comando è Don Lope de Aguirre (Klaus Kinski). Oltre ai soldati, fanno parte della spedizione anche la figlia quindicenne di Aguirre Flores efrate Gaspar de Carvajal (Del Negro) come cronista e convertitore dei pagani Indios.

L’impresa non parte sotto i migliori auspici, una delle zattere dopo due giorni viene risucchiata da un gorgo e i soldati che vi sono a bordo vengono uccisi dagli Indios. La spedizione approda sulle rive del Rio, ma una piena trascina via le zattere restanti, obbligando gli uomini a fermarsi. Nascono malumori tra i conquistadores, e Ursúa, per non far morire i suoi commilitoni inutilmente, decide di tornare da Pizarro dichiarando il fallimento della compagnia. Aguirre, irascibile, violento e poco incline alla pace, a capo dei rivoltosi che non vogliono rinunciare all’El Dorado fa ferire e imprigionare Ursúa e chiunque parteggiasse per quest’ultimo. Aguirre dichiara Re Filippo II di Spagna decaduto e nomina il nobile Don Fernando de Guzman (Peter Berling), membro della spedizione, imperatore di El Dorado. Il nuovo imperatore, manipolato da Aguirre, come primo atto ufficiale processa Don Ursúa e lo condanna in quanto traditore, decidendo però di graziarlo.

Viene costruita una grande zattera e il viaggio sul Rio delle Amazzoni prosegue il 12 gennaio 1561. I conquistadores, sempre più convinti di avvicinarsi all’El Dorado, superano numerose avversità venendo a poco a poco decimati dalle silenziose frecce degli Indios, invisibili nella giungla. Ai dardi degli indigeni si aggiunge un nemico ancor più temibile: la fame. Mentre l’imperatore mangia pesce e frutta, i soldati, col passare del tempo più desolati, si spartiscono pochi chicchi di mais. Un giorno l’imperatore viene trovato morto probabilmente di dissenteria per aver bevuto l’acqua del fiume e Aguirre ne approfitta per prendere il comando della compagnia, facendo uccidere Ursúa e tutti i dissidenti o i codardi. Inez si avventura stoicamente nella giungla, sparendo per sempre, e i conquistadores superstiti tornano sulla zattera, guidati da un Lope de Aguirre sempre più folle. La navigazione riprendere verso un destino ormai segnato, nonostante la certezza di Aguirre di diventare il più grande conquistador della storia.

«SE IO, AGUIRRE, VOGLIO CHE GLI UCCELLI CADANO FULMINATI, GLI UCCELLI DEVONO CADERE STECCHITI DAGLI ALBERI. SONO IL FURORE DI DIO, LA TERRA CHE IO CALPESTO MI VEDE E TREMA»

Oltre alla ricerca della verità estatica, in questo film sono presenti altri due temi ricorrenti del cinema herzoghiano: la furia della natura e i protagonisti alienati. Per quanto riguarda il primo tema, come si può notare fin dalle prime oniriche inquadrature (un campo lunghissimo sulla vetta del Machu Picchu che supera le nuvole, la lenta discesa della montagna immersa nella nebbia, la piena del Rio) è presente una natura mostrata in tutta la sua potenza, a confronto della quale l’essere umano risulta quasi inesistente. Herzog mette in chiaro il ruolo dell’uomo fin da subito, come dimostra il lungo “serpente” di conquistadores che scende lungo la parete, estranei all’ambiente che li circonda e talmente piccoli da sembrare invisibili. Nel film viene rappresentata la bellezza, la maestosità e la furia di una natura incontaminata, contro la quale il genere umano non può nulla: le malattie decimano i prodi conquistadores, la giungla li bracca e ogni piccolo movimento richiede immani sforzi. I cannoni che abbatterebbero senza difficoltà città intere vengono sconfitti dalle fangose paludi nelle quali si incagliano. La natura nella sua onnipresenza è il secondo protagonista e primo antagonista del film e lo spettatore vi si immerge totalmente, grazie anche alla fotografia di Thomas Mauch e alla colonna sonora mistica e minimalista dei Popol Vuh che si alterna a lunghi silenzi dove si sentono solo i rumori della giungla.

Il secondo tema riguarda i protagonisti alienati: Lope de Aguirre incarna il senso di incubo che pervade la pellicola, un alienato le cui armi sono omicidio, intrighi politici, discordia e caos per appagare il suo istinto di conquista e il desiderio di dominio e sopraffazione. E quando ottiene comando e potere le sue bieche macchinazioni lasciano spazio alla folle speranza di conquista della natura, che condurrà la spedizione a una tragica conclusione. In una visione Conradiana (l’ispirazione di Herzog a Cuore di Tenebra è palese, lo stesso Francis Ford Coppola utilizzerà come spunti per Apocalypse Now il racconto di Conrad e questo film) la foresta amazzonica diventa un luogo primordiale che aliena l’essere umano dal mondo e lo scontra con la violenza della natura, sopraffacendolo. Klaus Kinski, nonostante i durissimi dissidi col regista durante le riprese, diede spessore al personaggio di Aguirre, caratterizzandolo in modo decisivo a livello di presenza scenica. Il passo claudicante, il temperamento insensatamente violento e imprevedibile, lo sguardo allucinato e al tempo stesso esaltato, mistico e crudele, la inspiegabile follia: Kinski come Don Lope de Aguirre è rimasto iconico nella storia del cinema.

La regia di Herzog, appena trentenne, è già estremamente autoriale. Durante i due mesi di riprese, caratterizzate dal realismo herzoghiano secondo il quale non si devono costruire set cinematografici ma girare tutto sul campo, il regista ha modo di sperimentare lo stile registico che rende questo film una capolavoro. Herzog si destreggia in movimenti di macchina che riprendono prima in semi-soggettiva poi in soggettiva man mano che Aguirre si fonde con la natura che lo permea, mettendo lo spettatore di fronte alla crescente follia del protagonista. A livello ancora più generale, per l’intera durata della pellicola il regista evita di mostrare l’azione o il dinamismo, preferendo una straniante successione di quadri e sequenze statiche che si intrecciano con primi piani del cupo sguardo di Aguirre. Il giovane Herzog sfoggia un’alternanza tra lunghi e solenni piani sequenza e controcampi, con l’inquadratura che indugia sul paesaggio amazzonico mentre si ascoltano drammatici voice over. Il risultato di ciò è la dilatazione del tempo filmico in favore di un senso di immobilità della messa in scena. Il finale del film torna al punto di partenza: la pellicola iniziava mostrando piccoli uomini osservati dalla maestosa natura e così termina. La sequenza finale parte con un campo lungo della zattera, continua poi con una carrellata in avanti che si trasforma infine in una carrellata circolare, il movimento mostra l’isolamento del protagonista, collocato al centro del cerchio, osservato dalla natura vittoriosa che si è impossessata finalmente dello sguardo del regista.

Scritto da

Pisano di nascita e romano d'adozione. Da diversi anni ho sviluppato una grande passione per i film, il cinema e tutto ciò che si lega a esso, dalle origini con Méliès, all'Espressionismo tedesco, fino alla contemporaneità.

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