L’attesa è finita! Avventori del cinematografo, estimatori di nomi hollywoodiani, appassionati d’arte, visionari, engagés, curiosi, annoiati, a tutti si rivolge l’ultimo, imperdibile film di Lech Majewski.
Per due motivi. Il primo, sperimentare il piacere della visione di un film nel luogo per cui è stato concepito; insieme agli altri. Il secondo, inoltrarsi nell’(ir)resistibile vespaio cinefilo avente a tema il possente Cinema d’Autore, Olimpo intoccabile di cui è tangibile la polemica…
Chiamati in causa sono qui niente meno che il narcisismo, di cui si avvarrebbe la regia, ed un uso abbondante dell’estetica, che concede ampio spazio soprattutto all’eccesso. Azzardi di stile che si avvicinano all’industria, distanziandosi dal nettare del linguaggio espressivo personale? Agli spettatori il giudizio.
E dunque doppiato, in lingua originale, sottotitolato, in qualunque modo lo si desideri guardare (tranne che nel famigerato streaming), Valley of the Gods del regista polacco è appena planato nelle sale cinematografiche italiane dal 3 giugno ed ha già guadagnato un posto nel cuore dei loici.
Pronto dal 2019 e sospeso ad oggi per una trionfante uscita in sala (rifiutando il lancio diretto sulle piattaforme digitali), il film è stato distribuito, ma anche co-prodotto, da CG Entertainment, insieme a Lo Scrittoio.
Brillante talento, maestria narrativa, cast internazionale: così si è espresso il Presidente di CG Entertainment Lorenzo Ferrari Ardicini, senza nascondere l’entusiasmo per il ritorno al cinema dopo il fermo, parlando qui di “universalità dei temi affrontati” e di “potenza visiva di ogni scena, che sullo schermo farà spiccare il volo all’immaginazione del pubblico”.
Lo stesso Presidente ha voluto iniziare questo volo insieme a Majewski in tempi non sospetti, nel 2011, quando la fama dell’artista – regista, scrittore, poeta, pittore, compositore – si era riverberata sul territorio internazionale (al MOMA di New York, al Louvre di Parigi) ma non in Italia. Fu perciò CG a dedicarsi alla distribuzione di alcuni film (prima in sala, poi in home video e digitale) ispirati a capolavori della storia dell’arte: Il giardino delle delizie (dall’omonimo dipinto di J.Bosch), I colori della passione (da “La salita al calvario” di Pieter Bruegel), Onirica (dalla “Divina Commedia”) – considerati il trittico del poliedrico Maestro.
In Valley of the Gods è presente un tema annoso, di cui non si conosce la fine: il divario tra poveri e ricchi. Da un lato il mondo ancestrale dei Navajo della Silicon Valley, l’abbondante, generosa Valle degli dei del titolo; dall’altro quello del magnate Wes Tauros (John Malkovich), l’uomo più ricco. In mezzo, uno scrittore (Josh Hartnett) attraverso cui osserviamo il mondo. “Non sappiamo se abbia rappresentato la pura realtà o se l’abbia piegata alla sua scrittura” – spiega Majewski – “Siamo nella mente dell’artista, e questa è l’idea alla base del film”.
Manierismo, abbondanza di simbolismi, surrealismo, visioni oniriche dense di tecnologie digitali, per un film carico di eccessi, con tanto di attori hollywoodiani e momenti di cinema commerciale per scherno. Perché? Allontanare un uso del mezzo da una precisa missione, come vuole invece l’industria delle major.
Come ha dichiarato lo stesso regista: “Siamo un vero e proprio miscuglio di deliri, d’immaginazione, di volontà e di desideri, di sogni e di cartoline che abitano le nostre teste”; come potrebbe il cinema essere diverso, dunque?
E se “I film arricchiscono la mia personalità, sono un viaggio dentro me stesso” continua il cineasta, come non volersi perdere in questo suo cammino?
SINOSSI:
Wes Tauros (John Malkovich), l’uomo più ricco sulla terra e collezionista di arte, vive nascosto dal mondo in un misterioso palazzo, conservando un segreto che lo tormenta. John Ecas (Josh Hartnett), dopo una separazione traumatica dalla moglie, inizia a scrivere la biografia di Tauros e accetta un invito nella sua magione. La società del magnate, che estrae uranio, ha deciso di scavare anche nella Valle degli Dei, violando una terra sacra: secondo un’antica leggenda Navajo tra le rocce della Valle sono rinchiusi gli spiriti di antiche divinità.