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78° Mostra del Cinema di Venezia - foto di Davide Mauro

Cinema, Spettacolo

Cinema, lo sciopero di Hollywood arriva anche in Italia

Tempo di lettura: 4 minuti

Da Hollywood a Roma, lo stato di agitazione che interessa l’intero settore del cinema è diventato un copione internazionale. Sulla scia dello sciopero e delle proteste che stanno avvenendo a Hollywood e che vedono come protagonista la WGA (Writers Guild America), iniziati lo scorso 2 maggio, anche le associazioni italiane stanno portando gli stessi temi all’attenzione del dibattito pubblico 

Lunedì 17 luglio, la WGI (Writers Guild Italia) insieme ad altre cinque associazioni – ossia Artisti 7607Air3 (Associazione Italiana Registi), Anad (Associazione Nazionale Attori Doppiatori), Unita (Unione Nazionale Interpreti Teatro e Audiovisivo) e 100 Autori – hanno recapitato una lettera aperta indirizzata alla premier Giorgia Meloni e alle istituzioni sul tema dei compensi non adeguati da parte delle piattaforme di streaming. Associazioni che rappresentano migliaia di professionisti tra autori, sceneggiatori, artisti interpreti e doppiatori, tutti impegnati nella filiera della produzione audiovisiva italiana. E che chiedono un incontro “urgente e non più rimandabile”.

I MOTIVI DELLO SCIOPERO

Adeguamento dei compensi per i lavoratori, maggiori garanzie nei confronti dell’utilizzo della propria immagine sulle piattaforme di streaming e una chiara regolamentazione che tutelino gli artisti dall’uso (e abuso) dell’intelligenza artificiale. Sono questi i temi principali che hanno fatto scendere in piazza lo scorso 2 maggio gli sceneggiatori americani della WGA (Writers Guild American), a cui dal 14 luglio si sono uniti in protesta anche i membri della Screen Actors Guild.

Era dal 1960 che le due categorie non univano le forze per denunciare congiuntamente le condizioni di lavoro precarie del comparto cinematografico e audiovisivo americano. A quel tempo a guidare la protesta c’era stato Ronald Reagan. Sessantatré anni dopo la leader è Fran Drescher, storico volto della sitcom anni 90 “La Tata”.

L’utilizzo sempre più frequente di sistemi di intelligenza artificiale in ogni fase della produzione cinematografica, da quella di ideazione e di sceneggiatura fino a quella di post-produzione, ha seriamente allarmato gli attori e gli sceneggiatori del cinema e della tv, che temono che l’IA possa essere utilizzata per duplicare e lentamente sostituire il loro ruolo: dalla replicazione di volti e voce in digitale alla parziale o completa sostituzione delle comparse, o ancora all’utilizzo dei software per la creazione di nuovi copioni.

Ma la “disoccupazione digitale” non è l’unica minaccia che preoccupa i protagonisti del cinema. Anche la mancanza di tutela adeguata nei confronti degli attori e sceneggiatori per quanto riguarda la messa in onda di contenuti e prodotti audiovisivi sulle diverse piattaforme in streaming ha portato all’attenzione quanto il tema dei diritti residuali (royalty) sia un punto fondamentale che necessiti di maggiore attenzione e di un adeguamento al panorama mediale contemporaneo.

A RISCHIO ANCHE I FESTIVAL IN ITALIA

La contestazione e gli appelli degli attori che si sono mobilitati per la causa prevedono anche l’astensione delle attività di promozione e partecipazione alle conferenze stampa e ai festival internazionali.

Le prime conferme sono arrivate alla vigilia dei Giffoni Film Festival, che si tiene dal 20 al 29 luglio nell’omonimo borgo, in provincia di Salerno. Matt Smith e Asa Butterfield, due degli ospiti più attesi dell’edizione di quest’anno, hanno comunicato che non saranno presenti alla rassegna.

Il rischio più grande è che un destino simile possa attendere anche la Mostra del Cinema di Venezia il prossimo 30 agosto.

LE LETTERA APERTA DELLE ASSOCIAZIONI

“Le nostre associazioni rappresentano migliaia di professionisti: autori, sceneggiatori, artisti interpreti e doppiatori, tutti impegnati nella filiera della produzione audiovisiva italiana.
Sul tema dei compensi non adeguati da parte delle piattaforme streaming alle nostre categorie, sulla mancanza dei dati necessari alla definizione dei compensi e sulla sistematica mancanza di buonafede da parte dei grandi utilizzatori nella conduzione delle trattative con gli organismi di gestione collettiva, nelle ultime settimane abbiamo seguito le audizioni svoltesi presso la Commissione Cultura del Senato della Repubblica; audizioni nate dal caso SIAE/META e dal caso Artisti 7607/NETFLIX.
Nel corso delle audizioni i rappresentanti delle piattaforme hanno sostenuto, con strumentali interpretazioni normative, di essere in regola con le previsioni di legge circa la trasmissione dei dati e di corrispondere dei compensi “adeguati e proporzionati” come indicato dalla direttiva copyright e dal decreto legislativo di recepimento nel nostro ordinamento.
Al netto di generiche frasi di sostegno alle nostre categorie, i rappresentanti delle piattaforme hanno completamente evaso il tema delle informazioni sui ricavi che generano in Italia; e non hanno comunicato quale livello medio di compensi le piattaforme corrispondono ai professionisti coinvolti nelle opere. Abbiamo ascoltato soltanto mere autodichiarazioni prive di riscontri.
Va evidentemente rilevato in queste multinazionali un atteggiamento di proterva indifferenza alle norme, alle istituzioni, ai diritti delle persone; multinazionali che dirottano all’estero gran parte dei ricavi. Intervenuto al termine del ciclo di audizioni, il Presidente dell’AGCOM ha incentrato il suo intervento sulla presunta scarsa chiarezza normativa nel settore e sulla altrettanto presunta confusione nata dalla liberalizzazione, che renderebbero conflittuale il mercato. Nulla ha detto sul tema dell’adeguatezza dei compensi che le piattaforme devono corrispondere, nulla sul rispetto dei principi prevista dalla direttiva copyright che nasce proprio per tutelare le nostre categorie, nulla sui dati che le piattaforme devono per legge comunicare. Come se non vi fossero ben due direttive europee (Barnier e Copyright) e due relativi decreti legislativi di recepimento a chiarire inequivocabilmente quali siano gli obblighi cui gli utilizzatori sono tenuti. Il Presidente dell’AGCOM non ha peraltro ricordato che l’Autorità da lui presieduta non ha ancora emanato, dopo quasi due anni, il regolamento previsto dal d.lgs 177/21.
Una grave mancanza cui chiediamo venga tempestivamente posto rimedio, così come chiediamo vengano recepite nel testo finale le istanze presentate ad AGCOM dalle scriventi in occasione della consultazione pubblica su detto schema di regolamento. Quanto brevemente descritto è per noi inaccettabile, anche considerando che ai reiterati comportamenti delle grandi piattaforme streaming non corrispondono adeguate contromisure da parte delle istituzioni. Sorprende inoltre che il presidente di un’autorità di garanzia come AGCOM esprima posizioni evasive oppure schiacciate sull’atteggiamento delle grandi piattaforme streaming, posizioni che appaiono distanti dalla realtà e dallo spirito delle norme. Una ulteriore manifestazione di indifferenza nei riguardi dei più basilari diritti delle artiste ed artisti che rappresentiamo, ad oggi ancora privi di un contratto nazionale di lavoro, e ai quali viene ora negato anche l’accesso a compensi “adeguati e proporzionati” per il frutto del proprio lavoro, come invece stabilito per legge.
Per tali urgenti e indifferibili ragioni, Le chiediamo un incontro con una rappresentanza ristretta delle nostre associazioni e la possibilità di entrare nel merito dei temi sollevati”.

La lettera aperta al Governo Meloni delle associazioni audiovisive e cinematografiche, via AGCULT (fonte)
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