I teatri sono luoghi di aggregazione, dove si condividono esperienze ed emozioni. Ci fa sorridere, ci fa riflettere, ci fa sognare. In alcuni casi, può anche essere uno strumento terapeutico di benessere, sia per il singolo individuo che per l’intera collettività. Come nel caso della teatroterapia.
In occasione della 61ima edizione della Giornata Mondiale del Teatro, istituita dall’International Theatre Institute il 27 Marzo 1962, celebriamo il teatro in tutte le sue forme e dimensioni, sottolineando come l’arte del teatro sia uno strumento e un mezzo di espressione universale e a disposizione di tutti.
Ce lo spiega la dottoressa Ilaria Vergine, psicoterapeuta specializzata in analisi bioenergetica, che da anni segue e cura diversi progetti teatrali assieme a soggetti affetti da disagio psichico. Il suo lavoro trova proprio nel teatro uno strumento fondamentale per aiutare queste persone a sviluppare una connessione più profonda e consapevole con loro stessi, con le altre persone e con la realtà che li circonda.
“Il teatro viene unito allo strumento della bioenergetica, che permette di lavorare sul corpo e di promuovere una consapevolezza corporea con gli esercizi proposti”, spiega la dottoressa, curatrice di ‘Bioenergetica e teatro‘. “Il suo punto di forza è la possibilità di utilizzare il teatro nella sua primaria forma di creatività. In questo modo esso si trasforma, diventando uno strumento che permette di essere applicato non solo in ambito educativo e sociale, ma anche terapeutico”.
Così, attraverso la creatività e il pieno sviluppo della consapevolezza della propria persona, la teatroterapia è in grado di aiutare la persona affetta da disabilità a recuperare quello che è il piacere e le risorse del gioco.
L’obiettivo, aggiunge Ilaria Vergine, è quello di “costruire un equilibrio emotivo-relazionale che si basi sul rispetto, sulla cooperazione e sulla tolleranza. Utilizzare questo strumento creativo per creare le basi della fiducia verso sé stessi, dell’intimità e della collaborazione con gli altri. E questo va ad agire sulla crescita della persona, in termini di autostima e di capacità ci comunicare e di relazionarsi con gli altri”.
Legando la crescita alla dimensione creativa e al gioco, tutto quello che invece viene associato a una malattia e a un contesto di ruolo e di stigma viene meno, sia tra attore e pubblico, che tra attori stessi.
Ed è anche un modo per sensibilizzare lo spettatore, che non conosce queste realtà, sui loro problemi e difficolta, ma anche sui loro punti di forza e sui traguardi che sono in grado di conquistare.
“È una realtà che non fa bene solamente alla persona, al disabile psichico, ma fa bene al teatro stesso”, afferma il regista Dario D’Ambrosi, che con la sua Associazione “Teatro Patologico” dal 1992 si occupa di trovare un contatto tra il teatro e un ambiente dove si lavora sulla malattia mentale, dove girano ragazzi con gravi problemi psichici.
“Quando assiste ai nostri spettacoli il pubblico riconosce che non c’è niente di impostato. Anzi, è proprio la grande espressività emotiva autentica di queste persone ad essere il vero punto di forza”.
L’elemento di diversità in questo contesto viene dissociato dalla sua accezione negativa, declinandosi nella teatroterapia come un elemento caratterizzante della persona affetta da una disabilità psicofisica, che attraverso lo spettacolo e il teatro diventa un fattore di unicità e di manifestazione della persona.
“La loro diversità, il loro handicap non è una debolezza ma è una forza a livello teatrale, perché il teatro ti dà la forza di esprimere ogni tipo di emozione” spiega D’Ambrosi. “Loro in qualche modo capiscono attraverso dei personaggi teatrali come gestire le loro paure, le loro patologie e le loro difficoltà. Loro pensano di interpretare un ruolo, da Ricardo III all’Amleto, ma loro in realtà stanno interpretando le loro angosce e le loro violenze. E questa è la forza del teatro”.