Connect with us

Cosa stai cercando?

Cinema, Cinema d'autore

DIALOGO CON DAVIDE COSCO, REGISTA DEL FILM “PSYCHEDELIC”

Tempo di lettura: 6 minuti

Su Amazon Prime Video “Psychedelic”, il primo lungometraggio del regista Davide Cosco. Un film drammatico che osa, che sperimenta nuovi linguaggi e amalgama immagini, suoni, parole. 

Cast artistico d’eccezione: Massimiliano Rossi, Alessandro Haber, Yari Gugliucci, Ksenija Martinovic, Giuseppe Amelio, Pietro De Silva, Aida Flix. Nel comparto tecnico, altri grandi nomi del cinema italiano, tra cui il direttore della fotografia Enrico Lucidi e il montatore Massimo Quaglia.

“Psychedelic” si aggira tra i meandri della mente umana e ne esplora millimetricamente gli abissi. Paul è un attore in crisi che vive in un retro teatro e ha continue visioni psichedeliche. Gravitano nel suo mondo tutta una serie di individui alla ricerca di qualcosa, fosse solo una salvezza possibile. Le esperienze materiali e immateriali, nella pellicola, scaturiscono da dentro. Fuori è tutto un meraviglioso gioco di visioni che scorgono una strada o sfumano, semplicemente, come sfuma la vita.  

Di “Psychedelic” ne parliamo con Davide Cosco, regista e sceneggiatore.

Quando e come è nato un soggetto così audace per stile e contenuti?

Nella diffusa sovrabbondanza di iperrealismo, in un periodo storico complesso e particolare, Psychedelic, dal greco psykhé, anima, e dêlos, chiaro, prova ad avvicinare le esperienze materiali e immateriali che i differenti personaggi hanno modo di compiere, attraverso un allargamento della propria coscienza e della propria interiorità. Ho sentito l’esigenza di avvicinarmi a mondi paralleli, come il teatro e la chiesa, provando a scendere nel profondo, affiancandomi alla vita reale e alle debolezze comuni, ma anche alle visioni più fantasiose. Oggi si tende spesso a sottovalutare lo spettatore, al quale vengono date continue informazioni banali o si pensa che se una sceneggiatura segue una struttura non ordinaria debba essere licenziata come anti-narrativa. Non è affatto così. Nel mio film lo spettatore è chiamato in causa, non è passivo, ma è parte integrante del processo creativo. 

La ricerca di una dimensione spirituale sembra investire o sfiorare finanche i personaggi più silenziosi del film. Credi sia un istinto umano guardare oltre? Valicare i limiti del reale e approdare in un altrove non necessariamente sacro?

Il silenzio eterno di quegli spazi infiniti, sostiene Pascal, mi atterrisce. Tante volte siamo spaventati e sopraffatti da una ricerca per certi versi eccessiva, guardare all’altrove può sembrare un’impresa complessa e dolorosa e si preferisce restare in superficie. Ma a un certo punto credo che l’essere umano si trovi innanzi a quelle grandi domande di sempre. Una signora anziana mi ha scritto che dopo aver visto il film la sua vita è cambiata. Ovviamente non mi attribuisco un merito a riguardo, probabilmente le ha semplicemente smosso qualcosa e l’ha portata su una prospettiva diversa. C’è la tendenza ad attendere una certa età per porsi determinate domande, ma forse è il caso di rischiare non appena avvertiamo alcune scosse. Che non si trovano necessariamente nel sacro tout court. Molte cose importanti avvengono mentre bevi una spremuta o ti allacci le scarpe.

La donna riveste un ruolo fondamentale in “Psychedelic”. Penso, per esempio, alla donna sacerdote. È un essere solo più aperto o, come si intuisce in alcune sequenze, reca una conflittualità interiore tale da partorire più agevolmente il dubbio?

La donna riveste un ruolo fondamentale nel film poiché la donna, a mio avviso, al di là della retorica semplicistica, nella vita di tutti i giorni svolge un ruolo fondamentale per la società. Ha capacità straordinarie e abilità che devono essere sostenute. Nel film, la Chiesa è donna, metafora della grande madre. È una Chiesa che accoglie i diversi, gli ultimi, i dimenticati, gli scacciati via, i poveri, la gente in ricerca di un senso. Un sacerdote donna non è da leggere in chiave antidogmatica. È semplicemente una persona che, pur combattuta dalla sua natura e dalla liturgia, attraverso la finzione cinematografica, vuole offrire il suo amore e il suo servizio. La sua è una vocazione, un atto di donarsi. Le recenti e straordinarie aperture anche sul ruolo della donna all’interno della Chiesa da parte di Papa Francesco rappresentano a mio parere un significativo passo di apertura verso la secolarizzazione, di grande valore ecumenico e umano.

Qual è il tuo rapporto con Dio?

L’idea di Dio può rappresentare una ricerca e insieme una conquista. Al di là delle visioni di ciascuno, credo sia molto bella la prospettiva teologica che ci offre Paolo di Tarso di Dio come amore, un amore avvolgente, infinito, carico di speranze. Ma non ho difficoltà neppure a immaginarlo come un ragazzo in tuta seduto su un muretto qualunque a voler bene all’universo, mentre guarda un film in una finestra. 

Le luci psichedeliche si accendono e si spengono nella mente di Paul. Il riflesso di tutto un mondo frastornato dall’eccesso e sprovvisto del poco minuto necessario?

In un contesto diffusamente omologante e ossessivo, le luci psichedeliche sono la rappresentazione di quello che può avvenire dentro il singolo. E il singolo è comunque una magnifica avventura e scoperta per il mondo intero. 

Una babele di oggetti, cui dà gran lustro la fotografia, affollano le stanze mentali e reali atte ad accogliere i personaggi. L’ordine rassicurante ha abdicato al caos che ci rende insicuri?

Non ho mai creduto agli oggetti come singole cose. Gli oggetti ci parlano, hanno una storia, quando non un’anima. Personalmente adoro particolarmente gli oggetti che possiedono un vissuto, che sono passati per tante mani e desideri. Oltre a una serie di oggetti di famiglia utilizzati in scena, in una delle maniacali ricerche in fase di preparazione del film, trovai un paio di occhiali da lettura Pince-nez in oro fiammante di fine Ottocento e, a fianco, travolti da pagine di giornale e piumaggi, un altro paio con la catenella e una delle lenti frantumate. Quali dei due è finito nel salotto di Paul?     

Siamo un po’ come i pesci che nuotano nell’acquario che, insieme, restituiscono la policromia dell’esistenza e da soli sono destinati a morire?

Il senso del dolore ritorna spesso nel film, ma è uno stadio da attraversare e ben differente dal distacco. L’idea della morte non mi entusiasma nel senso di fine. Siamo pesci che nuotano in un acquario. Quando finiscono le vasche? Dove si concluderà questa magnifica avventura? Mi soffermerei più sulla durata. La durata non conosce un termine. Molti film non si concludono con la fine. Continuano anche dopo. Forse siamo destinati a una non fine.   

La cifra estetica del tuo film è un punto di forza non indifferente. Quanto ha influito a livello artistico, col senno di poi, la scelta di generare le sequenze al computer? 

La mia idea di cinema è come vivere un insieme di ultimi attimi. Quindi ogni singolo fotogramma che compone un istante cinematografico è una grande occasione, un momento irripetibile che bisogna cercare di non sprecare. Abbiamo provato a rappresentare le scene come fossero opere d’arte, dalla costruzione dell’inquadratura, alla scenografia, al montaggio, alle musiche, agli effetti speciali. Mi piace avvalermi di tutto quello che la tecnologia può fare a beneficio del linguaggio cinematografico. Così come ritengo basilare quello che Caravaggio, i pittori olandesi, la pop-art e molti altri artisti hanno fatto per il cinema. Un’immagine bella con significanze vaghe può non entusiasmare, ma bella rimane comunque.  Per questo devo ringraziare un magnifico cast artistico e tecnico che mi ha accompagnato con grandissima generosità. Il cinema si fa solo insieme. 

Inevitabile, quando si guarda un’opera prima, trovarci dentro qualcosa di tutto il cinema che si è visto. Non trovo pertanto insolente chiederti quanto Sorrentino c’è in “Psychedelic”?

Questa è una domanda che mi stanno ponendo praticamente tutti dall’uscita del film. Mi fa molto piacere. Sono tanti i registi che amo, da Jean Vigo a David Lynch, da Terrence Malick a Kubrick. Sono incalcolabili gli autori da cui si possono cogliere spunti e suggestioni essenziali. Paolo Sorrentino è davvero unico, è stato capace di mettere da parte tutto un tipo di ipocrisia, riempiendo le sue opere di delicatezza, di poesia, di ironia, di bellezza, di magia. Per dirla un po’ più cinematograficamente, è come ballare un magnifico valzer in sneakers fluo, sussurrando su Platone, e sognando di portare a cena Cleopatra seduta al tavolo con il collo ornato di lapislazzuli e la t-shirt dei Talking Heads.   

Scritto da

Clicca per commentare

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Potrebbe interessarti

Cinema, Cinema d'autore

L’Associazione Nazionale Esercenti Cinema (ANEC) si rammarica perl’incomprensibile decisione della Film Auro di Aurelio De Laurentiis di rinunciare all’uscita capillare dell’ultima commedia di Carlo...

Cinema, News

Esce su Prime Video l’8 marzo 2021, distribuito da 102 Distribution, ‘Dark Crimes‘, thriller diretto dal greco Alexandros Avranas, che fece scalpore alla Mostra del Cinema di Venezia...

Copyright © 2022 Le foto presenti su Notizie di Spettacolo sono state in larga parte prese da Internet e quindi valutate di pubblico dominio. L'editore è a disposizione per la eventuale rimozione di foto coperte da copyright. Il periodico on line “Notizie di Spettacolo” è stato registrato presso il registro dell'Ufficio Stampa con il numero 66/2022 con firma del decreto del Presidente di Sezione del 10 maggio 2022.