Il Grigio ha segnato una delle tappe più importanti nel lungo percorso di ricerca del cantautore e del suo teatro canzone. E per Gallione, che si è confrontato già più volte nell’ultimo decennio con Gaber e Luporini insieme a Eugenio Allegri, Claudio Bisio e Neri Marcorè, è un’opera che «sa e può ancora parlare potentemente e spietatamente al nostro oggi».
«Per me, nell’88 – prosegue il regista – Il Grigio dal punto di vista dello spettatore e del giovane regista di allora, fu un’esperienza intensissima, fondamentale. Quel mix geniale di astrazione e immedesimazione, quel raccontare teatralissimo e senza didascalismi fu una rivelazione. Mi sono convinto, piano piano ma con sempre maggiore “lucidità”, che i temi, i quadri, i sentimenti, le situazioni presenti nel Grigio del 1988 fossero poi stati rielaborati, perfezionati, e perché no, anche attualizzati da molte canzoni nate dopo quella esperienza. Scrivendo un’infinita storia di un signor G in continua crescita e trasformazione, nel privato e nel sociale, Gaber e Luporini hanno continuato a macinare, indulgenti o spietati, sulle contraddizioni dell’essere umano. E il “dopo Grigio” è un contenitore ricchissimo di spunti e illuminazioni, in forma di canzone, che si sovrappongono e amplificano i temi del copione di allora».
Il Grigio è la storia di un uomo che a un certo punto della sua vita si allontana da tutto e da tutti, afflitto più da problemi personali che sociali. Si ritira in campagna per stare tranquillo, ma la sua desiderata solitudine è subito disturbata da un topo che gironzola per casa: è “il grigio”, forse un fantasma, una proiezione, ma certo l’elemento scatenante degli incubi dell’uomo. A causa della presenza sgradita dell’animale, il protagonista sprofonda in una totale depressione che lo costringe a rivedere tutta la sua vita e a mettere in discussione le proprie certezze. Falliti i tentativi di catturare il topo con i metodi tradizionali, comincia un lungo duello con l’invisibile nemico: la lotta contro l’occulto roditore provoca una sorta di risveglio dall’anestesia del presente, in un crescendo drammatico dal finale imprevedibile.
«Ho sempre ritenuto Gaber – racconta Elio – un mostro sacro ma non mi ci ero mai confrontato prima. Pur considerando la sua produzione meravigliosa e intelligente, in verità sono sempre stato più Jannacciano. Il fatto che per me fosse quasi tutto nuovo è stato un bene, perché sono potuto entrare nel suo mondo sentendomi libero, senza preconcetti. E alla fine ne sono stato conquistato, al punto di cogliere non poche similitudini con il mio stesso mondo interiore. Se sei abituato a riflettere su te stesso e sulla vita, capisci che alla fine non hai altra possibilità che accettare anche la tua parte oscura, che nello spettacolo è rappresentata proprio dal Grigio, ovvero il topo che perseguita il protagonista».