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SERGIO CAMMARIERE: “MI LASCIO GUIDARE DALLA MUSICA QUASI IN MANIERA INCOSCIENTE”

Tempo di lettura: 4 minuti

La sua attitudine a sentirsi un uomo libero si riflette nella musica che compone. Sergio Cammariere ha da poco pubblicato “Libero nell’aria”, con la collaborazione di Cosimo Damiano DAmato, la sua autobiografia edita da Rizzoli, e “Piano nudo”, un album che mette in luce quanto sia forte la sua voglia di musica e di improvvisazione. Un lavoro che riflette in modo completo la sua personalità artistica e non.

Un libro e un album pubblicati negli ultimi mesi. Esistono dei punti di contatto?

Ci sono diversi punti di contatto. Queste composizioni sono nate da improvvisazioni che nel corso degli ultimi quattro anni ho avuto modo di riprendere più volte. Alcune di esse fanno riferimento al libro ma, a parte questo, la cosa che più mi piace è l’atmosfera che ho ricercato con un approccio pianistico che io definisco modern jazz. Non c’è altro modo di definire questo tipo di musica che spazia tra la classica, il blues, lo stesso jazz, e in cui sono presenti echi del ‘900. In “Piano nudo” ci vedo tutta la mia vita. Ogni volta che penso alla realizzazione di un disco ci metto tutta l’anima. Dentro ogni mio lavoro c’è tutto me stesso.

Ascoltando “Piano nudo” ho avuto la sensazione che fosse il seguito più maturo e consapevole di “Piano” uscito nel 2019?

Questo è sicuramente il seguito del precedente album di solo piano. La differenza sta nell’approccio allo strumento. Nel primo ci sono molti riferimenti al cinema e alle colonne sonore. Questo perché alcuni di quei brani erano destinati al film di Maria Sole Tognazzi “Ritratto di mio padre”. Quindi il mio pensiero era rivolto verso quella direzione. In quest’ultimo lavoro ho tralasciato una certa timidezza compositiva, che è sfociata in una consapevolezza consolidata. Ne è venuto fuori il disco che avevo immaginato, con tutto ciò che volevo trasmettere. Mi piace pensare che il terzo disco di questo tipo, che ancora non esiste nella mia mente, potrà essere migliore.

Hai detto che questi brani sono nati da improvvisazioni. In quanto tali potranno essere sviluppati durante le tue esibizioni dal vivo?

Certamente. L’approccio jazzistico dei brani mi consentirà di darne sempre versioni nuove e, a mio avviso, addirittura migliori di quelle che ho inciso. Mantenendo la melodia e l’armonia, su ogni brano sarà naturale improvvisare perché sono in continua evoluzione e trasformazione.

Ritengo che il palcoscenico sia il tuo habitat naturale. Un posto dove ti esprimi liberamente e senza schemi prefissati. I brani assumono un aspetto diverso ogni sera.

Il repertorio cambia a secondo dello strumento che ho davanti, al clima che percepisco in platea. E questo mi spinge a dare sempre una interpretazione diversa di tutti i miei brani. In ogni concerto la cosa più importante è quella di voler far passare la musica senza alcun filtro. Mi lascio guidare dalla musica quasi in maniera incosciente. Nei miei tour non c’è nulla di previsto. Ogni sera è una cosa diversa.

Un atteggiamento che oggi non esiste più. Oserei dire che non esistono più i cantautori intesi nel senso più tradizionale.

Purtroppo sì. Noi siamo dei vecchi chansonnier. Posso anticiparti che con Roberto Kunstler stiamo lavorando al nuovo album che avrà un chiaro timbro cantautorale tradizionale. Una esigenza personale che mi allontanerà da ciò che viene trasmesso in radio attualmente. Sarà un richiamo alla vecchia scuola francese, da Charles Trenet a George Brassens, da Jacques Brel a Serge Gainsbourg, che poi si è fusa con la scuola italiana.

E’ una tua caratteristica assorbire diversi generi musicali per creare un suono che ti distingue. Musica italiana, jazz e brasiliana: tutto questo è Sergio Cammariere.

Vorrei aggiungere l’incontro avuto nel 2009 con la musica indiana. In “Carovane” avevo inserito sitar e tabla perché il mio atteggiamento con la musica è quello di essere in continua evoluzione. Ho voluto questo disco di piano solo per ritornare all’essenza, che è quella dello strumento nudo. Al tempo stesso nei miei pensieri c’è la volontà di sperimentare, cercando nuove soluzioni espressive e comunicative. Non ti nascondo che sto entrando in una fase nuova che porterà delle sorprese.

In “Piano nudo” si sentono anche influenze di musica classica.

La musica classica fa parte della mia formazione musicale. Senza di essa non ci sarebbe stato neanche il rock. Gli archetipi della musica vanno ricercati nelle composizioni antiche. Possiamo considerare nostri grandi maestri i vari Beethoven, Chopin, Brahms, Mahler, Wagner, Debussy, Stravinski, Ravel. Per citarne solo alcuni. Sono loro i grandi compositori a cui ci riferiamo. Nell’improvvisare viene in aiuto l’ispirazione che deriva dall’ascolto dei maestri della musica classica e della musica jazz. Ma penso anche a Ryuichi Sakamoto e Wim Mertens come riferimenti oltre i miei confini.

Consideri un rischio essere alla continua ricerca di nuove soluzioni musicali?

La mia fortuna è quella di essere attualmente un indipendente. In altri tempi non sarebbe stato possibile incidere un disco come questo. Era impensabile che un cantautore proponesse a una major un disco di piano solo. Dal 2016 è iniziata la mia nuova era.

Parlando del tuo libro “Libero nell’aria” ho gradito molto le descrizioni semplici e immediate di ogni capitolo. Voglio immaginarlo come un album di 74 fotografie.

Soprattutto ogni persona citata ha una sua dignità. Non ci sono preclusioni, denigrazioni, né autocompiacimento. Quest’ultimo è uno degli errori che commettono gli scrittori. Io considero questo un romanzo di formazione. Magari questa esperienza mi servirà in futuro, se mai deciderò di scrivere il seguito o un racconto inventato.

Molto delicato e poetico il tuo incontro con Michelle, un tuo grande amore.

In questo mi ha dato una mano Cosimo Damiano D’Amato. A lui ho descritto l’incontro con questa donna dalla bellezza incredibile. Devo dire che ha saputo rendere perfettamente la magia di quell’istante in ogni sua sfumatura. Di Michelle ho un ricordo bellissimo e, proprio per questo motivo, ho voluto che tutto il resto rimanesse nel privato.

In quelli che tu consideri intermezzi ce n’è uno che mi ha colpito in particolare: quello delle lettere d’amore. Scriverle è una cosa che appartiene a un’epoca lontana

Mi è capitato spesso di discutere su questo argomento. Oggi è tutto diverso. Un tempo scrivere delle lettere d’amore creava l’attesa. E proprio quella situazione dava un senso di grande importanza all’amore. Oggi tutto è più veloce. Per noi, che apparteniamo ad un’altra generazione, è un modo incomprensibile di comunicare. Ma tutto ha una sua logica se rapportata ai tempi in cui viviamo.

E’ inevitabile che io ti chieda del Bar Bogart.

Quello era un posto in cui ci si divertiva. Era un mondo in cui ci si incontrava e si socializzava. Nel libro, ovviamente, non ho raccontato tutto. Sarebbe stato impossibile. Per parafrasare il titolo del libro si respirava l’aria della libertà.

Ritengo che il pubblico si aspetti un seguito di “Libero nell’aria”, che racconta la tua vita fino al 2003, anno in cui partecipasti al Festival di Sanremo.

Il problema è che ci sarebbero volute altre 300 pagine. Non sono sicuro che questo libro avrà un seguito. Finora non c’è nulla di scritto, ma mi basterà andare a rivedere tutti i video girati in questi anni per ricordare in maniera dettagliata ogni momento della mia vita e tutte le persone che ho incontrato.

giuseppepanella.it

Scritto da

Giuseppe Panella è giornalista e critico musicale. Da sempre non limita i suoi interessi alla musica, scrivendo anche di teatro e di libri. Da circa venti anni è addetto stampa di alcuni festival, artisti e radio. Tra le sue collaborazioni quella con MusicalNews, Classic Rock, Vinile, Gazzetta del Sud, Il popolo del blues, Tutto Sud News e Muzi Kult. Nel 2011 ha contribuito con una scheda al libro "Da Mameli a Vasco. 150 canzoni che hanno unito gli italiani", curato da Maurizio Becker e pubblicato da Coniglio Editore. Nel 2011 e 2012 è stato direttore responsabile di Onda Calabra. Ha un suo blog (www.giuseppepanella.it)

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