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MA DOVE VANNO I BURATTINI… PROSEGUE IL VIAGGIO DE ” LE MANI CHE MUOVONO I SOGNI”

Tempo di lettura: 6 minuti

DOVE VANNO I BURATTINI..
Quando si chiudono i sipari, quando finisce lo spettacolo, quando i festival chiudono i battenti… molti dicono che le Figure scompaiono nei bauli e nelle casse di legno.
Io penso invece che ritornino in un’altra dimensione: la memoria del pubblico. Da dove balzano fuori, vivi e pronti a sorprenderci appena escono dal boccascena.

FESTIVAL E PUBBLICO. CI VOGLIONO INVESTIMENTI.
Dice Roberta Colombo, direttrice assieme ai fratelli Monticelli del Festival, “Arrivano dal Mare (ora senza punto esclamativo, a segnare che la fase delle grandi battaglie di “riconoscimento”  del settore è ormai vinta) da ormai mezzo secolo non fa mancare questo appuntamento annuale. Spettacoli, frequentati da un pubblico di ogni età, ma anche studiosi, compagnie, singoli artisti, istituti e associazioni, musei che si occupano del Teatro di Figura. Si è costituita una rete vasta e molto attiva di soggetti che tutelano e valorizzano questa arte. Stiamo anche recuperando la dimensione internazionale, che ha fatto sempre del nostro Festival un ponte verso l’Europa.
Cosa serve oggi? Investimenti, dagli Enti Locali e da Stato e Regione. Per la semplicità dei suoi apparati il Teatro di Figura è più “agile” di altre forme di spettacolo. La chance di legare la cultura all’economia turistica ci trova preparati.”

INCONTRI MOSTRE E TELE-COVID-CONNESSIONI
Le chiusure imposte dal Covid hanno interrotto le attività dal vivo, ma hanno anche rilanciato a dismisura l’uso dei contatti in remoto. Fioriscono anche qui conferenze, dimostrazioni e convegni tematici sui più vari argomenti. Giuseppina Volpicelli ha illustrato, con inediti materiali raccolti in una vita da Maria Signorelli, il lungo percorso della madre, scenografa, intellettuale, burattinaia, formatrice e scrittrice.
Il racconto è continuato con una mostra al MAR e una telenovela-documentario a puntate. I Musei dell’Emilia Romagna hanno presentato la loro rete al pubblico più vasto. Tre antiche famiglie d’arte, Monticelli, Colla e Cuticchio, hanno fatto online visite guidate alle loro botteghe e alla loro storia. I Corsi di formazione professionale Animateria e I Mestieri del Burattinaio hanno raccontato metodiche e programmi.
Le magnifiche maschere di Giorgio De Marchi e i burattini di Maurizio Gioco si facevano ammirare nel chiostro della Biblioteca Classense.
La Casa delle Marionette, fra un incontro e l’altro ha aperto gli scrigni della collezione di famiglia. Dal festival è partita inoltre la conferenza-stampa di La Radicalità Gentile: tre lampi sul Teatro di Figura, progetto all’interno di Parma Capitale Italiana della Cultura.

I BURATTINI HANNO UN’ANIMA?
L’esprit dei burattini non è nei contenuti umani che pretendiamo di ficcare dentro le loro balzane teste di  cirmolo. Risiede nel movimento, nella grammatica della mano, con le sue dita opponibili, una vera e propria drammaturgia elementare e combinatoria.
Ai Giardini abbiamo visto affollarsi, ogni pomeriggio, centinaia di bambini, nonni e genitori agli spettacoli della tradizione classica, con Fagiolini rampanti, Sganapini ingenui (e stoned),Capitani furiosi, Sandroni dalle scarpe grosse e dal cervello fino, petulanti Balanzoni.
Mauro Monticelli, Moreno Pigoni, Mattia Zecchi, Vladimiro Strinati hanno sfidato il lombardo Walter Broggini, il piemontese Marco Grilli e Salvatore Gatto (con le sue guarattelle napoletane). Di tutti questi diremo diffusamente, in un prossimo reportage dedicato ai burattinai.
Un cenno a Enrico Spinelli, leader dei fiorentinissimi Pupi di Stac.
Le sue fiabe sono porte al pubblico con una certa grazia fanée e il distacco ironizzante del vernacolo toscano. Il manipolatore, in scena al fianco dei burattini, discorre tranquillamente con il pubblico che interviene. Un minimalismo rassicurante e ironico.
Gli aretini di NATA Teatro, oltre a raccontare l’Alighieri al Bar, hanno inventato, durante il lockdawn, il “teatro di finestra”..

Si parlerà in altra sede delle due produzioni ad hoc del Teatro del Drago, con All’incirco e con Drammatico Vegetale.
L’israeliana Yael Rasooly con Paper Cut ha portato a Ravenna un suo spettacolo brillante di dieci anni fa. Protagonista una segretaria che gioca con gli oggetti circostanti, immaginando scenari intriganti con un capo che non la corrisponde. Ottima grinta e bel gioco di oggetti (cosa abbastanza rara: in genere negli spettacoli che si vedono in Italia vengono “tirati via” con poca maestria e senso). Non è un caso, vista la scuola di provenienza, la Visual Art School di Gerusalemme, e la sua collaborazione con il Caròn Teatròn (il “Teatro del Treno”), il centro di produzione più impegnato e creativo del Paese.

SHAKESPEARE IN BOTTEGA E IN CUCINA
Nadia Milani e Matteo Moglianesi hanno rappresentato per qualche anno la ripresa, da parte del Buratto della sua antica vocazione legata al teatro in nero. Spentasi la loro collaborazione con il Buratto, stanno portando avanti il progetto di tre short stories ispirate a Shakespeare. Qui abbiamo visto il primo “Piccole avventure di un cuore a Venezia”. Ambientato in una macelleria, fra carni squartate, coltellacci, colpi di mazza, bilance e tavole di legno (oggetti all’interno del muro di luce), l’episodio ricordato è quello della libbra di carne umana”, nel Mercante di Venezia.
Nessuna storia raccontata. La storia, come nel teatro d’oggetti, la fanno le immagini, credibili e fortemente evocative. Tutto su un letto sonoro: il bisbiglìo di voci raccolte nelle calli di Venezia.

Macbeth Banquet


Luca Radaelli è autore, poeta, attore, regista, ma (a sua insaputa) ottimo raccontatore “tradizionale” (fulesta diremmo in Romagna).
In Macbeth Banquet , ci presenta un intreccio (sia ambientale che di linguaggi). Siamo in una cucina e un personaggio-guida deve preparare un banchetto e nello stesso tempo raccontarci il dramma noto. Troviamo narrazione, fortemente intrecciata con il teatro d’attore, con una presenza (spesso solo come décor, ma con punte di sorprendente efficacia, come il fantasma di Banquo) di teatro d’oggetti.

CORPI INVOLUTI E INESTRICABILI.
Una sottolineatura meritano 3 spettacoli, che si muovono in aree affini. Il tema è quello del corpo umano. Della sua difficoltà a districarsi dai condizionamenti e dalla creta primordiale da cui è stato estratto. Dell’ambiguità che lo segue ogni volta che cerca di definirsi in modo netto.

Valeria Sacco in Talita Kum


1. Cominciamo con Talita Kum (Alzati, ragazza)
Valeria Sacco è uno speciale golem incappucciato che regge un pupazzo disarticolato, dal volto truccato. Con movenze impacciate il golem gioca e interagisce con il pupazzo-femmina, facendolo ballare. Il pupazzo, dalla faccia sempre più viva, ambisce a muoversi con autonomia e, in modo involuto si distacca dal corpo originario. Come in un gioco di prestigio, con faticoso districamento il pupazzo acquisisce le gambe (che sono quelle di Valeria) e lascia definitivamente sul suolo. Ora è il corpo intatto di una donna che si allontana dai resti del golem, ormai inerte.
Il richiamo all’illusionismo non è casuale, i movimenti sono minuziosi e ricercati con cura assoluta. Valeria Sacco e Marco Ferro di Riserva Canini affermano che “gli strumenti del teatro di figura vanno usati solo quando sono necessari”. Siamo d’accordo, ma io capovolgerei il ragionamento. Nel senso che se i linguaggi e le tecniche sono ben eseguite trascinano gli artisti in dimensioni e in logiche specifiche, che suggeriscono e a volte guidano la drammaturgia .
Così sono i movimenti efficaci che scaturiscono nel lavoro sperimentale, che suggeriscono a Valeria i collegamenti e il senso più generale che va prendendo lo spettacolo. Nel contempo sono gli autori che impongono al pupazzo/golem e alla pupazza/femmina di esprimere loro idee.
In Talita Kum le due direzioni di lavoro si incontrano spesso, creando certezze in chi assiste che vengono smentite un attimo dopo. Non c’è alcun esoterismo. C’è sensibilità,e duro e paziente lavoro.

Mille e una Notte.

Abbiamo visto un frammento intitolato alle Mille e una Notte. Un piccolo collettivo (Lidelab) di giovani donne con davanti un vasto programma.
Il frammento, della durata di ‘7, mette in scena Sherazade alle prese con un pupazzo articolato, privo di lineamenti. Quasi subito il pupazzo tenta di stuprare la danzatrice, che però prevale. La scena è rigorosa, la lotta furiosa della danzatrice con il pupazzo credibile ed emozionante. Sospettiamo lunghe ore a definire i movimenti giusti ed efficaci. La costruzione di una vera partitura. Auspico frammenti della stessa forza.

Operettalzheimer

3. Ultima della serie (anche perché era lo spettacolo conclusivo del festival) è la coippia, anche questa inestricabile, fra Marzia Gambardella e la Anziana Signora in Operettalzheimer.
Anche qui abbiamo inscena una simpatica e anziana pupazza, a dimensione umana, indossata da Marzia. Siamo in una casa di riposo e la Signora è evidentemente frastornata dalla malattia e dalla solitudine. Ricordi, brevi spezzoni di filmetti fatti in casa. L’illusione di una relazione con un impermeabile maschile su un attaccapanni. Abbiamo già conosciuto simili situazioni, in Beckett, Schulz, perfino il vecchio Swift. Ciò che appare originale è la testarda tenacia con cui la Signora vuole “possedere” il corpo e le gambe di Marzia (amica, infermiera, ex amante?). La lotta fra le due per il possesso del baricentro (la poltrona) è comica e inquietante assieme.
Anche in questo caso maestrìa genera poesia.


Mi sono girato un attimo e non c’è più nessuno. Andiamo subito a scrivere.

Scritto da

Classe ‘48, ha studiato filosofia e antropologia culturale a Firenze. Dopo esperienze nella comunicazione e nell’associazionismo culturale, dedica per lunghi anni il suo tempo al Teatro di Figura. Partecipa alla fondazione e anima per decenni il Festival “Arrivano dal mare!”, l’UNIMA Italia, l’ATF/AGIS. Ha affermato in Italia l’uso del termine teatro di figura, dirige da 20 anni l’Atelier delle Figure/Scuola per Burattinai e Contastorie. Autore e regista di spettacoli, continua oggi la sua attività di ricercatore e pubblicista.

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