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“UTOPIA” DA THOMAS MORE AL TEATRO FONDAZIONE COLLEGIO SAN CARLO, UNA PRODUZIONE ERT

Tempo di lettura: 2 minuti

Le Fondazioni mettono ora in gioco le rispettive specificità e competenze in un reading dal titolo Utopia, che si svolgerà sabato 18 dicembre alle ore 21.00 e domenica 19 dicembre alle ore 16.00 nella cornice settecentesca del Teatro della Fondazione Collegio San Carlo.

Dopo le collaborazioni degli ultimi anni alla riscoperta e alla messinscena di testi come le Operette morali di Leopardi e Stati e Imperi della Luna di Savinien Cyrano de Bergerac, l’esplorazione nel mondo della letteratura filosofica di età moderna giunge ora alla terza tappa, con un lavoro sull’Utopia di Thomas More.

Nel Novecento il termine “utopia” ha goduto di grande fortuna. Di utopia (e di distopia) si è parlato in filosofia e in letteratura, nel cinema e a teatro, nelle religioni e nell’arte. “Utopia” è diventato un termine così diffuso e generico, quasi interscambiabile con altri aggettivi come “ideale”, “immaginario”, “visionario” e “irrealistico”, da rendere impossibile una sua definizione coerente come categoria filosofica o politica: se ne parla a proposito di pace e di progresso, emancipazione ed ecologia, comunismo e democrazia; l’utopia è stata addirittura utilizzata anche dalla propaganda politica dei totalitarismi. Ma l’idea di “utopia” ha una precisa origine, che risale al 1516, quando Thomas More introduce una parola che fino ad allora non esisteva.

A partire dalla selezione dei testi a cura di Carlo Altini, Direttore scientifico della Fondazione Collegio San Carlo, Fabrizio Sinisi ha creato una drammaturgia a cui danno voce gli attori Simone Baroni, Simone Francia, Michele Lisi, Elena Natucci, Maria Vittoria Scarlattei, Cristiana Tramparulo, Jacopo Trebbi, Massimo Vazzana nella messinscena di Simone Francia.

Originariamente scritto in latino, Utopia è suddiviso in due parti: la prima è incentrata sul dialogo di More con Raffaele Itlodeo, un viaggiatore che critica ferocemente i mali dell’Inghilterra del tempo. A questa, si contrappone la seconda parte, più positiva, in cui vengono descritte e illustrate le caratteristiche politiche, economiche e morali della nuova isola di Utopia.

Due le strategie discorsive adottate qui da More: la prima, realistica, viene usata soprattutto nel primo libro, nell’analisi spietata degli effetti dell’economia mercantile, del regime tirannico della monarchia assoluta e della corruzione del clero. La seconda è quella che l’autore stesso inaugura: More descrive l’isola con una tale precisione e ricchezza di dettagli da renderla verosimile. Una potente strategia per persuadere il lettore dell’esistenza di una società alternativa: la realtà di Utopia, il paese che non c’è.

L’utopia di More ha un carattere morale, perché vuole indurre il lettore a riconoscere lo scarto tra ciò che è e ciò che potrebbe (e dovrebbe) essere, ma che probabilmente non sarà mai, arrivando a produrre esiti malinconici. Questa prospettiva è immediatamente percepibile non appena si riflette sul significato del neologismo “utopia”, dal greco ou-topos: l’idea del “nessun luogo” rimanda infatti alla dimensione spaziale e geografica di un sistema politico immaginario, non a un futuro nel quale realizzare un programma politico rivoluzionario.

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