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DA PARMA UN APPELLO AL GOVERNO: “CULTURA APERTA!”

Tempo di lettura: 4 minuti

Capire bene cos’è la cultura, fare una riflessione profonda sulla possibilità di rimodulare almeno alcuni luoghi della cultura, organizzare controlli efficaci per non sospendere le attività. Parma, Capitale Italiana della Cultura 2020 e 2021, si fa promotrice di un appello rivolto al governo affinché consenta all’industria culturale, oggi in lockdown totale, di poter continuare a lavorare. Ne abbiamo parlato con Michele Guerra, Assessore alla Cultura del Comune di Parma.

Con “Cultura Aperta!” la città di Parma chiede al Governo di rivalutare alcune delle misure di restrizione dei luoghi della cultura.

«Abbiamo pensato che in quanto Parma Capitale Italiana della Cultura fosse importante lanciare un segnale tra i tanti che ci sono stati. Tutto parte dall’idea che sia un brutto segnale mettere in lockdown al 100% il comparto culturale, e credo che questa volta la differenza rispetto al precedente lockdown sia proprio la disparità di trattamento. L’incipit della nostra petizione tratta proprio questo: tu oggi puoi andare dappertutto, puoi andare in un negozio, fare la spesa, andare in un bar o in un ristorante seppur con dei contingentamenti orari molto forti e – nel caso delle zone rosse ed arancioni – con il solo asporto. Gli unici luoghi dove si ferma tutto, in ogni caso, sono le mostre, i musei, le biblioteche, gli archivi ed i luoghi dello spettacolo dal vivo».

Su quali punti chiedete attenzione?

«Il primo tema è quello di ripensare la misura su tutto il territorio nazionale. Sappiamo che in questo momento purtroppo ci sono delle situazioni particolari, ma si può pensare di fare una valutazione diversa coinvolgendo anche le regioni, caso per caso, e cercare di capire dove andare magari a rimodulare queste restrizioni. Le mostre, i musei e le biblioteche, ad esempio, dove sarebbe possibile tranquillamente contingentare il numero di presenze adeguando anche gli orari di apertura come fanno i centri commerciali che nel weekend sono chiusi». 

Che soluzione avete pensato per superare questa criticità?

«Per esempio, in tale museo o in tale biblioteca, sulla base dei metri quadri disponibili, potrebbe entrare una specifica percentuale in base alla loro conformazione e permanere all’interno per un lasso di tempo definito. Abbiamo pensato a questa petizione soprattutto quando è arrivata la chiusura delle biblioteche e degli archivi. Le biblioteche rappresentano un reale servizio al cittadino che va inteso come tale, al pari, ad esempio, del servizio anagrafe. La chiusura degli archivi paralizza tutto il comparto della ricerca in Italia: i dantisti che stanno lavorando a delle ricerche per l’anniversario dei settecento anni della morte Dante Alighieri, ad esempio, non possono proseguire la loro attività di studio. Potrebbe sembrare una cosa superflua ma sarebbe tranquillamente gestibile: gli archivi, dove si possono riunire massimo un paio di persone con i dispositivi di protezione già di per sé in uso ordinariamente per la consultazione dei documenti antichi, sono un luogo assolutamente sicuro».

Insomma, l’industria culturale andrebbe messa al pari di quella manifatturiera.

«Quello che vogliamo è un trattamento del comparto culturale pari agli altri, come si prende in considerazione il comparto ospitalità si adotti lo stesso metro della cultura. La cultura è una industria a tutti gli effetti, ma che produce dei contenuti molto particolari, che hanno a che fare con una continuità del pensiero e della creatività che, interrompendola, anche se arrivano i ristori o altre misure di supporto, è molto difficile da ricucire e da recuperare. Perché la cultura è così depressa, demoralizzata da questo provvedimento? Perché se ci fosse un lockdown generalizzato, che sarebbe comunque deleterio, significherebbe che i dati in possesso del governo sono così terribili da dover costringere a fermare tutto. Ma chiudere i luoghi della cultura e consentire poi gli assembramenti nelle piazze e nelle vie dello shopping, come sta avvenendo in queste ore in tutta Italia, è veramente assurdo. L’Italia deve ripensare le sue politiche culturali come motore di sviluppo. Chiudere il comparto culturale al primo momento di difficoltà, è proprio un segnale negativo che si da non solo alla cittadinanza ma a tutti gli operatori del settore. Incontrandoli, in questi giorni, la sensazione che si legge nei loro volti è proprio questa, ossia di sentirsi superflui, sacrificabili alla prima occasione. È un messaggio deleterio che un paese come l’Italia non può lanciare».

Si parla tantissimo dei nuovi media a supporto dello spettacolo dal vivo. Qual è il contributo di Parma Capitale della Cultura?

«Parma ha creato una piattaforma che si chiama “Parma Ritrovata” che aveva l’obiettivo di far migrare la gran parte di contenuti che la città produceva durante il lockdown in modalità streaming. È evidente che le forme di interazione e di incontro, che sono decisive nel processo di crescita culturale, cadono. La mia perplessità è questa: va bene mandare online alcuni contenuti piuttosto che annullarli, ma il timore è che ci sia la tendenza poi a privilegiare queste forme di fruizione che pian piano si stanno insinuando nelle nostre abitudini, e che magari diventano più comode. Qui l’industria che rischia di più è quella cinematografica. Oggi stiamo assistendo all’uscita di film direttamente sulle piattaforme, ed è evidente che se la gente si abitua ad avere il film comodamente a casa ed investe denaro per abbonarsi a piattaforme di varia natura, il rischio sarà quello di essere gli ultimi testimoni delle sale cinematografiche, e di raccontare ai nostri figli o ai nostri nipoti che “un tempo c’era un luogo dove la gente andava appositamente per guardare i film in sala e non a casa”, e quindi il cinema sarà una storia appartenente al nostro passato remoto».

La cultura è, sicuramente, incontro.

«È indispensabile ritrovarsi per fare cultura. In questo momento tragico meglio andare online che niente, ma attenzione a non creare quel cortocircuito che potrebbe portarci al momento della riapertura disabituati alla cultura in presenza. Sarebbe un danno irreparabile».

Come si proietta Parma nella sua estensione al 2021 delle attività di Capitale Italiana della Cultura?

«Parma Capitale Italiana della Cultura. Più passano i mesi e più siamo scettici sul fatto che il 2021 possa essere diverso dal 2020. I provvedimenti che stiamo soffrendo in questo momento è evidente che avranno una estensione per lo meno fino alla prossima primavera. L’anno di Parma Capitale della Cultura, quindi, sarebbe più corto e più complicato, proprio perché la gente fatica a riversarsi di nuovo nelle città. Noi speriamo comunque di poter ripartire con alcune attività, ma se nel 2021 qualcosa andasse storto è chiaro che non ci sarebbe una estensione al 2022, anche nel rispetto delle altre città capitali degli anni successivi. Il rammarico sarebbe, per noi, quello di non riuscire nell’immediato a mettere in circolo quegli investimenti corposi che ad oggi abbiamo fatto, pur consapevoli che ci saranno comunque dei benefici a lungo termine».

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Lavoro nel campo della comunicazione e mi occupo di teatro come regista e attore e di radio come speaker e conduttore. Ho scritto e scrivo su numerose testate.

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