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GIORGIO BATTISTELLI: “OCCORRE CREARE ORIZZONTI, GUARDARE SEMPRE AVANTI”

Tempo di lettura: 4 minuti

Il Festival Puccini di Torre del Lago è il più importante festival lirico d’Italia. Nato nel 1930, si svolge in estate, nei mesi di luglio e agosto, e richiama migliaia di spettatori provenienti da tutto il mondo. Le opere di Puccini vanno in scena in un grande teatro all’aperto di 3.400 posti, in riva al lago di Massaiuccoli, davanti alla Casa Museo ove sono custodite le spoglie del musicista.

Notizie di Spettacolo ha raggiunto il compositore di fama internazionale Giorgio Battistelli, direttore artistico del Festival Puccini.

Il cartellone di alto spessore artistico e culturale del 2020, nato dopo il lungo lockdown e in piena emergenza sanitaria, ha premiato la creatività e il dinamismo. Quanto le restrizioni hanno condizionato le scelte e, in genere, l’organizzazione?

All’inizio è stato sconvolgente. A pervaderci era una sensazione di impotenza: troppi vincoli e i conseguenti timori di non riuscire a procedere in totale sicurezza. Poi ho pensato che dalle restrizioni e grazie all’arte sarebbero potute scaturire soluzioni differenti e inedite. È un tempo di profondo mutamento antropologico e culturale. È un presente di sottrazione, di cose tolte per paura, per ragioni di sostenibilità economica. L’arte, al contrario, può e deve addizionare, allargando i perimetri e superando creativamente i vincoli.

Il pubblico, in tempo di Covid e così a ridosso dell’isolamento dei mesi precedenti, ha partecipato con entusiasmo al Festival o si sono registrati cali in termini di presenze?

Mille presenze a sera, il massimo consentito. Abbiamo percepito un enorme desiderio di partecipazione del pubblico. Gli artisti volevano fortemente salire sul palco, disponibili a mettersi in gioco dentro nuovi parametri. La Butterfly con la regia di ManuLalli, per esempio,è partita dal verde degli alberi, dalla natura: un allestimento che si è adeguato alle restrizioni anti Covid senza rinunciare alla creatività.

Il Festival ha risposto anche all’urgenza, dopo i mesi di pausa forzata, di creare opportunità di lavoro per le maestranze coinvolte?

L’anno scorso ho sentito la responsabilitàdi dare un segno, di dire “siamo vivi”. La macchina del teatro doveva assolutamente ripartire e non era necessario tornare a essere ciò che si era prima, piuttosto bisognava dimostrare la presenza.

Alle porte la 67esima edizione. “Gli amanti” di René Magritte: un bacio conturbante e un senso di impossibilità per quelle lenzuola bianche che avvolgono le due teste. Chiaro rimando alla realtà che stiamo vivendo?

Abbiamo scelto un’immagine oltremodo evocativa e in grado di comunicare l’impossibilità di avvicinare i corpi attraverso le strette di mano, gli abbracci, tutti i gesti abituali d’affetto. E naturalmente i baci. Sì, proprio i baci pucciniani e, più in generale, quelli di tutto il melodramma italiano. Lo slogan “Tanti baci” rievoca quelle due parole che si scrivevano sulle cartoline: un’espressione desueta – è vero – ma che presumibilmente, in questo tempo, andrebbe rispolverata.

Quale riflessione sta alla base delle scelte artistiche operate per il Festival Puccini 2021?

Prima di tutto il mio sogno è quello di creare un arcipelago toscano della musica che comprenda la fascia della Versilia, con Lucca, Livorno e Pisa, ma che pure si volga verso il Maggio Musicale Fiorentino. Occorrono ponti di collegamento e comunicazione. Anche le istituzioni italiane dovranno andare verso la collaborazione, per la sostenibilità dei progetti, per incoraggiare la creatività. Penso ai legami tra mondi solo all’apparenza distanti. In cartellone nel Festival Puccini 2021 La Bohème con la regia di Ettore Scola che adopera gli ingredienti della tradizione in chiave fortemente espressiva. La regia della Tosca di Stefania Sandrelli è dal canto suo poetica e pesca nei ricordi familiari dell’attrice di Viareggio, perfetta Tosca ella stessa. A questa nuova produzione vi si aggiunge quella della Turandot, con la regia innovativa di Daniele Abbado e il finale composto da Luciano Berio nel 2001 che in vent’anni non è stato mai ripreso. Tre esempi per dimostrare come ci si muova con coerenza dentro il perimetro di un Puccini legato alla musica e al mondo. Fu del resto un compositore per nulla chiuso dentro una dimensione artistica solipsistica. Puccini guardava fuori, ascoltava compositori europei. All’interno del Festival la rappresentazione del Pierrot Lunaire di Schönberg, in collaborazione con l’Accademia del Teatro alla Scala che avrà nel Gran Teatro Giacomo Puccini la residenza per i giovani musicisti che resteranno a Torre del Lago per una settimana, mi è stata suggerita proprio da una pagina del diario di Puccini dalla quale si apprende quanto fosse stato colpito dall’opera del compositore austriaco. Mentre Schönberg rimase nella medesima circostanza sorpreso nel vedere Puccini con la partitura del Pierrot Lunaire sulle ginocchia. Sono meravigliose aperture, sono mondi diversi che si incontrano.

Cos’altro in cartellone?

Quattro atti unici su commissione, sui testi di Franco Marcoaldi e con la voce dell’attrice Anna Bonaiuto. I quattro mini-drammi musicali avranno ciascuno un bacio diverso: il bacio negato, il bacio immaginato, il bacio animale e il bacio estremo di Tosca.

Di e con Stefano Massini sarà l’omaggio a Enrico Caruso nell’anniversario dei 100 anni dalla scomparsa. Ancora, Toni Servillo con Giuseppe Montesano in un melologo.

Il melodramma è culturalmente eterogeneo. Per questo il Festival Puccini contiene tante cose e tutte solo all’apparenza distanti tra loro. Sono di fatto rifrazioni, mondi che si accostano dopo essersi cercati. Mascagni accostato a Schönberg non è strano. E il distanziamento – si aggiunga – ci ha quasi insegnato ad accorciare le distanze.

Il mondo dello spettacolo dal vivo è stato messo in ginocchio dalla pandemia. Reputa si potesse fare di più per salvaguardarlo?

Abbiamo avuto persone che hanno lavorato molto bene. Tra gli altri, Carlo Fontana, Salvatore Nastasi, Filippo Fonsatti, il ministro Dario Franceschini. Sono stati dati aiuti, va detto. Chi si occupa di questioni pratiche o meramente politiche non è stato distante dall’arte.

Si poteva fare di più? Si può sempre fare di più, ma è ingeneroso e riduttivo parlare solo di numeri. Il Ministero dovrebbe semmai spingere la creatività di artisti, manager, teatri, sovrintendenti. Si può azzardare mettendo in contatto le varie realtà, sul modello tedesco. L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e il Teatro Dell’Opera di Roma non potrebbero unirsi? La segmentazione della gestione indebolisce l’intero sistema. È il concetto di arcipelago cui facevo riferimento per la Toscana esteso a tutte le realtà. Le eccellenze artistiche vanno messe insieme. Tenere i teatri separati è un concetto di matrice ottocentesca, superato pertanto.

Oggi siamo più disponibili alle utopie e io sono ottimista solo se si guarda avanti. Non si deve, insomma, guardare indietro né star fermi. Le orchestre non sono numeri, sono formate da esseri umani che producono sentimenti. Stesso discorso per i tecnici, i macchinisti, tutti coloro i quali concorrono ad alzare il sipario. Dobbiamo offrire loro e dobbiamo offrire a noi stessi un teatro che contenga anche utopie e che, soprattutto, crei orizzonti. Non si va avanti senza un orizzonte da inseguire.

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