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IL REGISTA GIUSEPPE GAGLIARDI CI PARLA DELLA NUOVA SERIE SKY ORIGINAL “IL RE”

Tempo di lettura: 3 minuti

Il primo prison drama italiano, in otto episodi, è ambientato al San Michele, un carcere di frontiera dove il direttore Bruno Testori (Luca Zingaretti) esercita la sua personale idea di giustizia, il suo quarto grado di giudizio, al di sopra della legge dei tribunali e dei codici di procedura penale.

Nel cast anche Isabella Ragonese, Anna Bonaiuto e Barbora Bobulova.

Notizie di Spettacolo ha raggiunto Giuseppe Gagliardi, il regista di Saracena che ha già diretto le serie di successo 1992, 1993, 1994 e Non Uccidere.

Il panorama delle serie televisive è quanto mai variegato. Le principali piattaforme puntano su una vasta gamma di prodotti da offrire al pubblico. Come ci si può distinguere tra così tante produzioni?

Cercando un racconto autentico, storie con temi universali calati in una realtà plausibile, per poter catturare l’attenzione di un pubblico che va oltre quello italiano. Siamo in un momento di grande fermento nel mondo dell’audiovisivo; le storie più interessanti per me, come spettatore, sono quelle che mettono al centro il racconto dell’uomo e del contesto in cui vive.

Le serie italiane possono realmente aspirare al successo internazionale?

Fino a pochissimi anni fa non accadeva quasi mai che un prodotto seriale italiano arrivasse anche al pubblico straniero. Prima dell’avvento delle piattaforme, grazie a Sky, si è cominciato a pensare a produzioni che avessero l’ambizione di creare un racconto che potesse piacere anche all’estero. Una nuova narrazione di storie italiane, ma con una forma narrativa ed espressiva che ha finalmente attraversato le frontiere. In questo momento la nostra industria è viva e se la gioca sul mercato internazionale.

Si apprendono o, più semplicemente, si intuiscono le dinamiche all’interno di una struttura carceraria prima di girare un prison drama?

Ci sono mesi e mesi di ricerca, prima per la scrittura poi per la realizzazione. Per poter creare un mondo verosimile all’interno del quale far agire i personaggi. Il principio ispiratore è stato quello dell’autenticità del mondo ricreato, personaggi credibili inseriti in una realtà verosimile, con fatti che potrebbero accadere. Per farlo c’è stata una grande attenzione ai dettagli da parte di tutti i reparti, abbiamo girato in location reali, coinvolto consulenti specializzati nei temi trattati.

Dentro il perimetro del genere, ci sono film o serie televisive che costituiscono tappe inevitabili?

Io non seguo molto questo genere, ma mi ha tanto appassionato giocarci. In passato ci sono stati dei grandi drammi carcerari diventati classici, da “Fuga da Alcatraz” a “Le ali della libertà”. Io ho amato molto “Hunger” e “Il profeta”. Ma non ho voluto riguardare nessun film o serie di questo tipo prima di iniziare il lavoro. Non volevo mi influenzassero.

La trilogia costituita da 1992, 1993, 1994 ha riscosso un successo internazionale ed è stata distribuita in 85 paesi. “Il re” sembra avere tutte le carte in regola per riscuotere i medesimi consensi…

Lo spero. È una serie che racconta vicende universali.

Nel mese di marzo il primo ciak. Un bilancio, fino a questo momento, sulla direzione del cast e, più in generale, sul lavoro svolto?

Abbiamo girato per cinque mesi, la maggior parte dei quali in strutture carcerarie vere, il cast e la troupe hanno fatto una vera immersione nella realtà claustrofobica del racconto. Questo è stato un elemento che ha fatto la differenza: nella “reclusione” ognuno di loro ha potuto immedesimarsi e portare al lavoro un contributo creativo importante.

Quando è prevista l’uscita della serie?

Non si sa ancora.

Sopravvivranno le sale cinematografiche al dilagare delle piattaforme o l’emergenza sanitaria ha solo accelerato il processo irreversibile in virtù del quale i cinema saranno costretti a chiudere?

Sopravvivranno solo se il cinema comincerà a essere percepito come una forma di letteratura vera e propria, e quindi studiata e promossa nelle scuole. La costruzione di un lettore come di uno spettatore deve nascere da una visione culturale precisa. Il 50% degli spettatori delle piattaforme nel mondo “consumano” serie e film su smartphone. Se non si riafferma l’importanza della sala cinematografica come esperienza unica per percezione sensoriale e fatto sociale, diventeranno sempre di più quelli che guarderanno i nostri film su uno schermo di pochi centimetri, rischiando di perdere la vista.

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