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Teatro Ariston, 1968, Nino Benvenuti - Foto archivio storico dell'Ariston

Festival di Sanremo, Musica

Una scatola magica chiamata teatro Ariston

Tempo di lettura: 5 minuti

Senza dubbio il teatro Ariston è uno dei luoghi simbolo dello spettacolo e della musica popolare italiana. Una grande scatola magica, nata dal desiderio di Aristide Vacchino di far sorgere nella sua Sanremo un multisala capace di ospitare ogni genere di spettacolo, a servizio dei suoi concittadini. Nel 1963 il teatro prende vita e dal 1977 ospita il Festival, dove si sono esibiti i più grandi artisti, da Domenico Modugno ai Måneskin, da Dario Fo a Rudolf Nureyev.

Una storia lunga e affascinante quella che lega l’Ariston a Sanremo, che oggi viene svelata da Walter Vacchino, co-proprietario del teatro insieme a sua sorella Carla, e da Luca Ammirati, responsabile della sala stampa del teatro, nel libro “Ariston: la scatola magica di Sanremo”, edito da Salani.

Il libro comincia con un suo ricordo personale dentro il Teatro, vuoto a causa della pandemia. Ha avuto paura che l’Ariston potesse non riaprire?

WV: Più che paura è stato uno smarrimento collettivo, un’incertezza nei confronti di qualche cosa che ci stava accadendo e di cui noi non avevamo la comprensione. Come se fosse uno spettacolo di teatro, e noi fossimo lo spettatore disorientato.

Dopo che si è capita la portata della pandemia abbiamo potuto pensare a nuovi scenari per il nostro teatro. In quel periodo è nato “Alle Cinque della Sera”, un programma di un’ora in collegamento, dal lunedì al venerdì, dove gli amici dell’Ariston condividevano fotografie, video e ricordi che venivano montate insieme alle notizie di quei giorni, per creare una memoria collettiva del teatro. Un gioco tra passato e presente con un palcoscenico virtuale, che ha dato ad un archivio storico di 90 puntate. Poi le cose sono andate come sappiamo, e abbiamo ripreso quello che era la normale attività dell’Ariston.

La platea del Teatro nell’edizione del 2021 – Foto archivio storico dell’Ariston

Dopo cos’è successo?

WV: L’edizione successiva fu una sfida tra quelli che volevano fare il Festival e chi era contrario. Fortunatamente l’idea di portare leggerezza nelle case, che erano state trasformate in celle sanitarie, è stata una mossa vincente e di lì è nata poi la ripartenza dell’attività del teatro. È stata una metafora, come a dire che la vita continua. Non solo per l’Ariston, ma per tutti gli altri palcoscenici che hanno riaperto successivamente. Un’esperienza capofila che ha unito la squadra della Rai, degli uffici sanitari delle Asl e del teatro.

Torniamo indietro. Il teatro viene inaugurato nel 1963 da suo padre, Aristide. Come si immaginava lui il futuro Teatro Ariston?

WV: Più che immaginarlo lui l’aveva vissuto come un sogno. Era un imprenditore che aveva una visione. Questo desiderio si era collocato in una località piccola come Sanremo ed è riuscito a trasformare una città nel centro del mondo della canzone italiana. Un teatro che si è costruito giorno per giorno, con una programmazione sia cinematografica che teatrale, aperto sempre a nuove esperienze, che non si è mai dato limiti.

Aristide Vacchino – Foto archivio storico dell’Ariston

Il Festival però arrivo in Teatro solamente quattordici anni dopo, nel 1977. Come si è arrivati poi a decidere di ospitare la rassegna nel vostro teatro?

WV: Una casualità. L’inagibilità del Casinò ha fatto sì che l’unica struttura disponibile, con una certa capacità, fosse proprio l’Ariston. Il Teatro aveva messo a disposizione nuovi locali, nuovi spazi e soprattutto nuove possibilità per il Festival, che allora non era al massimo della salute. La manifestazione ha riacquistato vigore e da allora ha ricominciato a correre, fino ad arrivare alla corsa frenetica di adesso che credo rappresenti uno dei massimi momenti di concentrazione mediatica

Adesso il Teatro, la città e il Festival sono diventati quasi dei sinonimi. Cos’è cambiato dalla fine degli anni Settanta ad oggi?

WV. Più che un cambiamento, il Festival interpreta il momento storico del suo tempo. I media e le capacità tecniche entravano prepotentemente tutti gli anni all’interno del Festival, creando una macchina sempre attuale e con un occhio nel futuro. Poi le diverse conduzioni tra Fazio, Bonolis, Baglioni hanno creato, diciamo, un’evoluzione del Festival. E Amadeus ha dato la spallata finale, facendo spazio in maniera importante ai giovani. Poi è cresciuto, ha avuto bisogno di più spazio, ed è diventato un Festival diffuso in tutta la città. Mai come oggi, la parola Sanremo è diventata un concetto. Dal palco in piazza Colombo al Box Glass di Fiorello, fino al palco della Costa Crociere.

Manca un palco internazionale, per incrociare le canzoni e la storia degli altri paesi, per avere una maggiore differenza di voci, che è un po’ la caratteristica di tutti i palcoscenici, di tutti i teatri del mondo. Un’emozione che sia civile, priva di qualsiasi violenza o accezione negativa.

Tornano al libro e a uno dei suoi due autori, Luca: qual è stato il suo percorso dentro l’Ariston?

LA: Da sanremese ho sempre vissuto l’Ariston come un luogo dei sogni. Era il cinema in cui mi portavano i miei genitori da piccolo. Crescendo ho preso coscienza della cosa incredibile che fosse il Teatro e il Festival. E poi nel 2017, come responsabile della sala stampa, sono passato dall’altra parte della barricata. Ci si accorge che tutti sono accomunati da un ricordo legato all’Ariston: una canzone, un personaggio, un momento. Poter raccogliere questo patrimonio di avvenimenti, di testimonianze e poterle raccontare è ancora un sogno per me. Ed è grazie alla famiglia Vacchino che questa magia viene a Sanremo da ormai sessant’anni.

Inaugurazione del teatro Ariston, 1963 – Foto archivio storico dell’Ariston

Delle tante testimonianze che hai raccolto, ce n’è qualcuna che le è rimasta particolarmente impressa?

LA: Forse quella del maestro Vessicchio, quando mi disse che i luoghi hanno un’anima, e all’Ariston si respira un’atmosfera unica, come per dire che non esiste luogo in cui sia più giusto rappresentare quello che accade sulla scena musicale italiana. Ma come lui potrei dirti Morandi, che dopo una carriera di oltre 60 anni mi ha raccontato come il fatto di doversi esibire all’Ariston gli faccia ancora tremare le gambe.

E l’idea del libro com’è arrivata?

LA: È stato un bellissimo incontro di affetto e di amicizia, ma era anche un qualcosa che covava sotto la brace del nostro lavoro comune, e che ognuno di noi aveva inseguito le proprie passioni. Mi piace pensare che un po’ di quella magia di queste tavole abbia un po’ ha travolto anche me. Quindi poi raccontare tutto questo è stato un viaggio meraviglioso.

Per chi farà il tifo in questa edizione?

LA: Siamo come gli arbitri, dobbiamo essere super partes. Ovviamente il tifo si fa per la squadra Ariston che da ormai tanti anni è rotellina, parte integrante dello show più grande che abbiamo. Il cuore batte per Sanremo. Ed è un orgoglio vedere la propria città vestirsi a festa in questa maniera.

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