Fuori Concorso nell’ambito della trentottesima edizione del Torino Film Festival, che si terrà interamente in streaming dal 20 al 28 novembre 2020, il documentario “Rione Sanità. La certezza dei sogni” (prodotto da SKY Arte, Big Sur e Mad Entertainment) di Massimo Ferrari racconta la trasformazione di uno dei quartieri più problematici e più belli di Napoli. Lì molti sogni sembrano essersi avverati. Lì la rinascita sociale, culturale ed economica è stata possibile. A dispetto del controllo della camorra, dei morti per strada, della rassegnazione, della rinuncia.
Nell’incanto della fotografia di Blasco Giurato, talora scortata dalle parole contenute nell’ultimo tassello di quell’imponente romanzo napoletano che racconta il rapporto viscerale e tormentato di Ermanno Rea con la sua terra, “Nostalgia”, si dipanano le storie dei protagonisti del rione. Padre Antonio Loffredo, figlio di imprenditori, ha aperto loro le porte della chiesa di Santa Maria della Sanità, ispirando il cambiamento. I laboratori teatrali, l’orchestra sinfonica, le arti figurative, la squadra di calcio e la riapertura delle catacombe di San Gennaro con le visite guidate affidate ai giovani del quartiere sono stati la cura del rione che diede i natali a Totò.
L’intervista al regista Massimo Ferrari.
Perché il rione Sanità?
Roberto Pisoni, direttore di Sky Arte, aveva in mente il progetto. Ha coinvolto me riconoscendomi – a suo dire – la giusta sensibilità. Poi il rione, le catacombe, l’incontro decisivo con Don Antonio. Ho fatto presto ad accettare e da quel momento è cominciato il mio lungo viaggio: le riprese sono iniziate nel mese di luglio 2019 e sono terminate a settembre del 2020.
Ha trovato collaborazione o reticenza nella gente del rione durante le riprese del documentario?
Grandissima collaborazione da parte di tutti. Don Antonio ha compreso lo spirito del nostro lavoro ed egli stesso ci ha spalancato le porte di questa comunità. La collaborazione è figlia della fiducia accordataci. Alla Sanità l’umanesimo o diventa umanità o muore. E il nostro è stato un grande bagno di umanità.
La certezza dei sogni è un ossimoro?
In realtà lo è. L’identità profonda del rione Sanità lascia convivere morte e vita. Penso alle catacombe, al cimitero delle Fontanelle. Ovunque si poggi il piede lì si calpesta la morte. Si cammina tra le viscere e parimenti sulle vette. L’antropologia unica cui faceva riferimento Ermanno Rea credo si fonda anche sul binomio vita – morte che produce visioni e necessita certezze per la visionarietà del vivere.
Don Antonio ha dato certezza ai sogni, alle visioni. Dando scadenze e rispettando scadenze, non deludendo mai, acquistando credibilità. Da solo è riuscito a creare gli anticorpi di cui aveva bisogno il rione.
Interessante il ragionamento sull’utile della società cooperativistica che deve appassionare, aggregare. I napoletani sembrano essere cittadini di una terra unica…
Al Nord le cooperative si costituiscono per l’utile. Al Sud l’utile, invece, non convince. I ragazzi del rione Sanità hanno inteso la cooperativa come un sistema per “stare insieme”. Si tratta di tante piccole cooperative: piccole affinché i membri possano stare tutti seduti attorno a un tavolo. Ci si guarda negli occhi, si gestisce insieme; la partecipazione è un elemento fondamentale e senza il quale le cooperative nel rione non funzionerebbero.
L’arte entra dalla porta principale del documentario. Che ruolo ha avuto nel rione?
L’arte, intesa nel senso più ampio, è la più grande leva. La declinazione della bellezza che salva il mondo, per citare Dostoevskij, ha salvato il rione Sanità. La gente, più che essere convinta, ama essere commossa. L’arte è folgorazione e, come tale, genera cambiamento, empatia, crescita emotiva.
Il giovane cui è stato ucciso il fratello, per esempio, sfoga la sua rabbia a teatro, sceglie una strada alternativa a quella della vendetta, della delinquenza. Il teatro è cura, l’arte è cura.
In bilico tra l’umile e il sublime lo storia del rione Sanità. Quanto effettivamente di sublime dimora nell’umile?
Io stesso ho visto il rione con nuovi occhi e ne sono rimasto incantato. Credo che l’umile e il sublime stiano insieme se sei in grado di non calare le cose dall’alto, di fare piuttosto partecipare la gente. Don Antonio dice di aver imparato cose sublimi dall’umile. Del resto la cultura e le tradizioni popolari di cui è impregnato il rione recano il sublime. Occorre abituare al sublime, condurlo ove lo si incontra per la prima volta, ove non ci si è dunque potuti abituare.
I bambini di un quartiere popolare che apprendono uno strumento incontrano il sublime. Allora si può tranquillamente affermare che l’inevitabile è stato sconfitto dall’imprevedibile.
Progetti in cantiere?
Prodotta da MaGa Production per Sky Arte, sta andando bene “Io e Lei”, una serie in sei episodi che segue sei attrici nel loro percorso creativo, tra documentario e fiction. Ciascuna interpreta una grande artista del Novecento: Alda Merini, Franca Rame, Janis Joplin, Tamara de Lempicka, Marlene Dietrich, Maria Callas. È un vero e proprio viaggio nell’intimità di queste donne che hanno fatto dell’arte la loro vita. Le protagoniste: Lorenza Indovina, Matilde Gioli, Greta Scarano, Gabriella Pession, Elena Radonicich, Valentina Lodovini.
In cantiere la seconda serie, su cui stiamo già lavorando.
Un’anticipazione?
Quattro: Magnani, Mangano, Masina, Melato.