Il prestigioso quotidiano britannico “The Times” intervista Francesco Giambrone sulla candidatura dell’Arte italiana dell’Opera lirica ad entrare, a partire dal 2023, nella lista del Patrimonio culturale immateriale dell’Umanità riconosciuto e tutelato dall’Unesco (NdS l’aveva scritto qui all’indomani della riunione in cui il Consiglio Direttivo della Commissione Nazionale Italiana per l’Unesco ha approvato, come candidatura italiana da presentare all’esame del Comitato intergovernativo per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale per il ciclo 2023, “The Art of the Italian Opera Singing”).
Il corrispondente Tom Kington ha intervistato Francesco Giambrone, sovrintendente dell’Opera di Roma che auspica che l’Italia raggiunga questo traguardo.
Di seguito un estratto dall’articolo Italian opera sings own praises to Unesco, che The Times ha pubblicato nei giorni scorsi.
Italian opera sings own praises to Unesco
Le dive indossavano magliette e l’orchestra era in jeans al Teatro dell’Opera di Roma quando sono iniziate le prove per Ernani di Verdi, che aprirà il mese prossimo.
Invece di salire sul palco, i cantanti si sono seduti in un palco con vista sull’orchestra, alzandosi in piedi per cantare le arie quando è arrivato il loro turno.
Nel suo ufficio Francesco Giambrone, il sovrintendente dell’Opera di Roma, è entusiasta della decisione di candidare l’arte del canto lirico nella lista del patrimonio culturale immateriale dell’Unesco.
“Ciò che rende l’opera italiana diversa è che ci sono sempre due o tre settimane di prove prima di un’opera”.
Parlando delle eccellenze italiane inserite nel patrimonio dell’Unesco, Giambrone afferma come
“se la pizza di Napoli è già in lista, l’opera ancora non lo è”.
La candidatura all’Unesco è motivata dal fatto che l’opera è stata inventata in Italia, a Firenze, intorno al 1600, e il paese ha prodotto grandi nomi come Puccini, Rossini e Verdi.
Oggi l’Italia ospita 14 grandi teatri d’opera.
“La Francia ne ha quattro o cinque, oltre ad altri 27 luoghi di discrete dimensioni.
Nel 1860 anche la città più piccola aveva un teatro d’opera da 60 posti. Verdi scrisse una versione dell’Aida adattata appositamente per la sua piccola città natale”.
“L’opera ha contribuito a diffondere la lingua italiana. È arrivata nei piccoli paesi grazie alle arie. La gente del posto così parlava il dialetto oltre che la nuova lingua dell’opera. Ecco perché l’opera è dentro di noi”.
Mentre l’opera italiana si prepara ad essere giudicata dalla commissione dell’Unesco, Giambrone ricorda come da sempre
“l’opera parla di guerra, pace, amore e gelosia, e quindi assolutamente di attualità”.
Giambrone chiude l’intervista affermando che l’opera è diventata elitaria ma che è favorevole all’abbassamento dei prezzi e al dress code casual
“l’unica cosa che chiedo è che le persone non facciano squillare il telefono quando Violetta muore in Traviata”.